Con il caso Armani si riapre il dibattito sui potenziali di sviluppo del settore della moda in Ticino
BELLINZONA - Il mondo politico ticinese non resta indifferente alla notizia secondo cui la Giorgio Armani di Mendrisio starebbe trasferendo e licenziando 130 dei propri dipendenti. Anzi, in un'interrogazione dei deputati dei Verdi Michela Delcò Petralli e Francesco Maggi, si parla di una «notizia che lascia basiti».
Il franco forte e la Riforma III delle imprese - si legge nel testo che precede le domande poste nell'interrogazione - che prevede un aumento delle imposte per le società che hanno beneficiato finora di regimi fiscali speciali e nel contempo un alleggerimento fiscale per tutte le imprese sottoposte a tassazione ordinaria».
Come ricordano i due gran consiglieri, la Armani «è attiva in Ticino da ben 20 anni, 20 anni durante i quali ha beneficiato di un tasso di imposizione privilegiato ma che non sono basati per sviluppare quella responsabilità e quell'attaccamento al territorio sono il presupposto per uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile». «La Giorgio Armani - fanno notare Delcò Petralli e Maggi - non è neppure la prima ditta della moda internazionale che abbandona la regione appena terminati i privilegi fiscali, e ci si chiede quante ancora seguiranno il suo esempio».
Il Ticino ritiene il settore della moda uno dei settori strategici per lo sviluppo economico futuro del cantone. La Fashion Valley ticinese impiega 2.000 dipendenti nella produzione e altri 2.000 in altre componenti della filiera come la logistica e la progettazione.
Produzione:
- oltre il 70% dei salariati ha un livello primario (in aumento dal 2008)
- il 75% proviene da oltre frontiera.
- il salario mediano è calato in termini nominali del 16,4% fra il 2012 e il 2008.
«Difficile credere che questa componente del settore moda - osservano i due deputati ecologisti - sia in grado di offrire quei posti di lavoro di qualità che le autorità ci hanno promesso».
Per quanto riguarda gli altri settori del settore della moda le informazioni sono soltanto frammentarie. Il quadro, comunque, sarebbe «poco allettante». Secondo l'ATIS, l'Associazione ticinese imprese di spedizione e di logistica i frontalieri rappresentano oltre il 50 % anche in questo ramo e i contratti minimi del CCL partono da 3.000 franchi.
Dai dati dell’Ufficio cantonale di statistica emerge che «anche nel commercio all’ingrosso (quindi anche quello di calzature e abbigliamento) che il numero di lavoratori d’oltreconfine è quasi raddoppiato dal 2004 e che ora rappresentano circa un terzo degli addetti. In questo settore è stato necessario decretare un Contratto normale di lavoro, con salari minimi da 17,30 franchi l’ora, perché sono stati comprovati casi gravi e ripetuti di dumping».
«Nel Mendrisiotto ormai oltre la metà dei posti di lavoro è già attualmente occupata da lavoratori d’oltrefrontiera e i terreni liberi nelle zone di attività sono ormai solo il 14%. - osservano i due deputati - Per
evitare di commette gli stessi errori del passato e di attirare imprese che poi assumono solo personale lombardo a salari lombardi è di vitale importanze per il Mendrisiotto ma anche per l’intero cantone disporre di informazioni più precise».
Le domande poste al Consiglio di Stato: