La storia di Marco e della sua lotta quotidiana. Un lavoro perso perchè aveva deciso di avvertire i colleghi della sua malattia. E ora: "Ho deciso che in ufficio non ne parlerò con nessuno"
LUGANO - Alla soglia dei 45 anni Marco B. è un broker affermato. Una bella casa, una vita agiata è una carriera che sta viaggiando sui binari del successo. Ma un pesante fardello pesa sulle spalle del protagonista di questa storia che tocca circa 35mila altre persone in Svizzera e circa 800 in Ticino. In occasione della giornata mondiale contro l’Aids ci racconta la sua delicatissima situazione. «Ho l’Hiv – ci dice -, ma i miei colleghi non lo sanno». Quella del nostro interlocutore non è codardia, ma agisce così in base alla sua passata esperienza lavorativa. Ma partiamo dall’inizio: «Dopo aver saputo di avere contratto il virus, il mondo mi è crollato addosso, non sapevo dove sbattere la testa e continuavo a domandarmi perché fosse successo proprio a me».
Nel suo passato sempre solo storie fisse, o meglio quasi sempre: «Ero in vacanza in Grecia e ho incontrato una ragazza. Una cosa tira l’altra e abbiamo passato una settimana di pura “attrazione fisica”. Mai mi sarei immaginato che quell’estate del 2009 si potesse trasformare in un incubo». I primi malori, le analisi e i risultati che non lasciano nessuno scampo. «Riorganizzate un po’ le cose, ho deciso per correttezza di dire quanto successo al mio direttore di allora e alla responsabile delle risorse umane dell’istituto di credito nel quale lavoravo da dieci anni. Speravo avessero compreso invece...».
Invece «dopo una settimana l’intero ufficio sapeva tutto delle mie condizioni di salute. In breve tempo sono stato ghettizzato, messo da parte e poi, ciliegina sulla torta (sorride amaramente, ndr) licenziato per “riorganizzazione”. Peccato che poco tempo prima ero stato promosso». Toccare il fondo a volte può però aiutare a riscoprire se stessi e la propria forza interiore: «Non mi sono pianto addosso, ho lottato e ho trovato un nuovo impiego dove sono apprezzato ma... non riesco a dire ai miei colleghi quello che sto passando, ho paura di rivivere quella brutta esperienza. Ho paura di essere discriminato e, purtroppo, so che se dovessi venire allo scoperto perderei tutti i legami che ho costruito negli ultimi anni». Unioni che nulla hanno a che vedere con l’affetto: «Non sono più riuscito ad avere una ragazza, mi sono chiuso a riccio nei confronti del sesso». Marco ora sta seguendo una terapia, ed è riuscito a riprendere in mano le redini della sua esistenza.
Un datore di lavoro deve essere informato se un dipendente è sieropositivo? Per saperne di più abbiamo contattato Marco Coppola di Zona protetta. “Caso come questo ce ne sono molti. Esiste ancora una forma di pregiudizio. Come se il solo fatto di lavorare fianco a fianco con un Hiv+ mette a rischio le altre persone dell’ufficio. È una sorta di paura irrazionale che a volte fa prendere delle scelte a mio modo di vedere assurde”. Comunicare il proprio stato non è obbligatorio – “Non esiste l’obbligo di dire al proprio datore di lavoro che si è sieropositivi. Una persona, anche nell’ambito delle relazioni famigliari, deve sentirsi libero di dirlo o meno. È anche vero che i datori tendono a volere sapere più del dovuto, anche oltre il segreto che intercorre tra medico e paziente”.