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CANTONESostituita da una frontaliera: "Non credo allo studio Ire"

29.10.15 - 08:00
I dubbi di una lavoratrice che era la sola dipendente residente di un negozio di abbigliamento
Ti-Press
Sostituita da una frontaliera: "Non credo allo studio Ire"
I dubbi di una lavoratrice che era la sola dipendente residente di un negozio di abbigliamento

MENDRISIO - "Lo studio dell'Ire? Cosa posso dire?" Giorgia scuote la testa. "Meglio non esprimersi. Io non ce l'ho con i frontalieri. Io ce l'ho con il Governo che non ci tutela e permette che accada che in un negozio di proprietà svizzera venga mandata a casa anche l'ultima dipendente residente". Quello di Giorgia è uno dei tanti casi personali raccontati in questi ultimi anni, in un Ticino che fa molta fatica a credere alla realtà descritta dall'Istituto Regionale Economico. "Il problema è che nel nostro cantone sotto i 3.500 franchi netti non si vive, mentre i frontalieri in Italia con gli stessi soldi possono farlo molto agevolmente. È normale che si creino conflitti tra i residenti e i frontalieri".

Giorgia, 54 anni, preferisce mantenere l'anonimato. Abita nel Mendrisiotto, regione in cui la concorrenza è spietata. La sua voce è positiva, irradia una solarità disarmante quando ci racconta la sua esperienza di una lavoratrice in un negozio di abbigliamento, "lasciata a casa e sostituita da una frontaliera". I fatti avvengono nel 2012. Il negozio nel quale lavorava chiude e da Mendrisio si trasferisce in un noto centro commerciale del Distretto. "L'attività è stata ridimensionata e l'unica dipendente residente, ossia la sottoscritta, è stata lasciata a casa. Ero in servizio da sei anni. Sono stata io ad insegnare il lavoro a colei che poi, una volta diventata gerente, mi ha lasciato a casa". Per Giorgia una delusione pesantissima. "Io lavoravo part-time, ma grazie alle mie conoscenze delle lingue nazionali e la mia esperienza di lavoro lunga sei anni avevo acquisito un certo grado di capacità lavorativa che, probabilmente, non era ben vista dalla gerente che, avendo la facoltà di decidere, mi ha lasciato a casa". La delusione di Giorgia nasce anche dal fatto che l'azienda per cui lavorava ha sede in Svizzera tedesca, nel canton Soletta. "Fa male pensare che una ditta svizzera possa tranquillamente permettere che in uno dei suoi negozi non lavori neppure una persona che risieda in Svizzera".

Per Giorgia, che ha chiesto l'aiuto del sindacato OCST, non vi è stato nulla da fare: il reintegro non è stato possibile. "È incredibile come da noi possa essere così facile lasciare a casa una persona, senza giustificazioni, nonostante io abbia sempre lavorato con dedizione". Grazie all'intervento del sindacato, che ha aperto un tavolo di trattative con la direzione dell'azienda, Giorgia è riuscita ad ottenere una liquidazione. Dal 2012 la signora, madre di tre figli e separata, si deve accontentare di un posto al 20% in un noto supermercato della zona, attività che peraltro già svolgeva dal 2000. A rendere più difficile la situazione, infatti, è la malattia che le ha reso impossibile avere le forze necessarie per poter cominciare a lottare per reinserirsi in un mondo del lavoro sempre più spietato. Giorgia guarda al futuro e ai suoi figli. "L'ultimo è uscito dalla Commercio di Bellinzona con la maturità. Lei non si immagina il numero di curriculum che ha mandato in giro. Niente, non ha trovato niente. La sua fortuna è stata quella di avere i requisiti per entrare in un posto di lavoro al servizio del Cantone, sperando che almeno lì, i frontalieri non vengano assunti".

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