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LUGANO“Il mantra per il successo di Ikea? Sii te stesso”

26.05.15 - 19:34
Simona Scarpaleggia, Ceo di Ikea svizzera, ci parla di pari opportunità sul posto di lavoro e della sua ricetta per volare al top
“Il mantra per il successo di Ikea? Sii te stesso”
Simona Scarpaleggia, Ceo di Ikea svizzera, ci parla di pari opportunità sul posto di lavoro e della sua ricetta per volare al top

LUGANO - Quote rosa nelle aziende valutate in borsa o donne (e anziani) assunti al posto dei frontalieri vittime dei contingenti aiuteranno la causa del lavoro al femminile? “La motivazione sarebbe dovuta essere un’altra”, sostiene Simona Scarpaleggia amministratore delegato di Ikea svizzera durante un incontro con la stampa all’Hotel Eden di Lugano.

Romana di nascita e in Svizzera ormai da più di cinque anni si definisce “molto felice di tornare in Ticino e poter parlare un po’ la mia lingua madre”, con lei abbiamo discusso non solo della sua carriera ma anche di lavoro femminile, pari opportunità di genere e imprenditoria illuminata.

Tornando sulla questione delle quote e del rincalzo ai contingenti Scarpaleggia non nasconde qualche criticità: “Pensare di facilitare l’ingresso delle donne con queste misure, francamente, non è il massimo. Oddio, tutto fa brodo è vero, ma i presupposti non sono così costruttivi. Le donne che in questi anni ho conosciuto lavorando in Svizzera potrebbero essere attive in molti settori, sono molto molto preparate”.

Co-fondatrice di ADVANCE (associazione di aziende svizzere che sostengono le donne in posizione di leadership), la Ceo dell’Ikea rossocrociata è da sempre attenta alla questione della parità sul posto di lavoro.

“Perché le donne non fanno carriera? Le ragioni spesso e volentieri sono contestuali, in realtà sono fortemente competenti. È vero che altrettanto sovente capita che il loro rapporto con il mondo del lavoro non ne favorisca l’ascesa. O vengono impiegate in settori sbagliati (rispetto alla loro formazione) o scelgono orari ridotti o, semplicemente, dopo un po’ finiscono per acclimatarsi e “scomparire” in sottofondo”.

Cosa le frena, la famiglia?
“Sì, spesso a frenarle è l’onere famigliare, ma non solo. Noi come dirigenti dobbiamo impegnarci a rimuovere il più possibile gli ostacoli integrando il lavoro flessibile e in remoto e sfruttando al massimo quanto offerto dalle nuove tecnologie. Il resto, bisogna dirlo, tocca alle istituzioni: qualcosa deve cambiare. Ammiro molto la socialità svizzera ma diverse cose non facilitano il ruolo delle madri, parliamo anche solo delle scuole con il rientro sul mezzogiorno dei bambini. Qualcuno dev’essere a casa e spesso tocca alle mamme. Anche pensando di assumere un aiuto i costi non possono non influire su di un bilancio famigliare”.

E per quanto riguarda il congedo paternità? Secondo lei la Svizzera può fare di meglio?
“Io sono ottimista, una delle caratteristiche che apprezzo di più della Svizzera è il suo pragmatismo. Da una parte è vero che esiste un retaggio culturale, soprattutto in Svizzera interna, legato alle mamme-chioccia. Dall’altro però sono sicura che quando sarà ovvio che da questa cosa è possibile ottenere risultati positivi concreti, si farà. L’impiego femminile fa bene al Pil, vedo molti più vantaggi che svantaggi".

Ikea ha una fama di essere un’azienda fortemente paritaria, è per via delle sue origini scandinave?
"Senz’altro, ma non solo. È legato al sistema di valori di Ikea che sono vicini a quelli svedesi. Ma non è sempre stato così. Circa dieci anni fa, infatti, il management si è accorto che malgrado la filosofia aziendale le donne impiegate nel management erano il 4 o 5% il resto erano uomini di 40-50 anni. Per cambiare le cose è stato promosso un lavoro profondo basato sulla consapevolezza. Nulla è stato imposto ed è stato portato avanti in maniera molto naturale con un gran lavoro da parte anche dei quadri più alti. E oggi siamo arrivati a una situazione stabile attorno al 46/54%.

Che consigli darebbe a una giovane che vuole diventare manager?
"Prima di tutto di restare sempre fedele a sé stessa altrimenti sul posto di lavoro diventa difficile “passare”, farsi capire e portare la propria visione. È anche fondamentale aver un bagaglio di competenze e capacità assodate e di “saper fare le cose”, indipendentemente dall’azienda in cui ci si trova a dover lavorare. Aiuta anche avere un network di persone con cui confrontarsi e dei mentori disposti a elargire consigli. Ultimo, ma non per importanza, scegliete di lavorare per qualcuno che sappia valorizzarvi e non vi “chiuda” e tarpi le ali".

Lei ha 3 figlie, come ha fatto a riuscire professionalmente e coniugare vita professionale e privata?
Oggi le mie figlie sono grandi, indipendenti, io continuo a pensare a loro anche se non dovrei e loro spesso mi dicono “Mamma lascia stare, non preoccuparti” (ride). Devo dire che, negli anni, le mie carte vincenti penso siano state l’organizzazione, giocare d’anticipo di modo da ridurre al minimo gli imprevisti, e la motivazione. Ho sempre voluto fare quello che sto facendo, se non ci avessi creduto così tanto forse non ce l’avrei fatta".

 

 

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