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CANTONEDisoccupata da anni: “Volevo farla finita”

02.03.15 - 08:00
“Non vedevo una via d’uscita”. Quando disoccupazione fa rima con depressione.
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Disoccupata da anni: “Volevo farla finita”
“Non vedevo una via d’uscita”. Quando disoccupazione fa rima con depressione.

LUGANO - Giovane, simpatica, con tutta la vita davanti. Ci accoglie con un sorriso, Angela (nome di fantasia, ndr.), ma i suoi occhi non mentono. Una ferita nell’anima ha tentato infatti di toglierle, in modo definitivo, il respiro: la mancanza di lavoro. «Ho tentato di entrare nel mondo del lavoro in ogni modo – racconta durante la nostra chiacchierata –. Ma adesso non ce la faccio più. Mi sento una persona inutile». La storia di Angela potrebbe essere quella di molti ragazzi. Dopo una formazione commerciale il tanto atteso posto fisso non è mai arrivato. «Sono finita in disoccupazione, per poi piombare in assistenza. Dopo anni passati sulle spalle dei miei genitori, senza vedere una via di uscita lavorativa, sono caduta in depressione. Ho poi abusato di farmaci tentando di togliermi la vita. Ora sono in cura... penso solo a me stessa».

Una statistica? Difficile da stilare – “Risulta complicato poter fare una stima dei casi di suicidio dovuti alla prolungata assenza dal mondo del lavoro dal momento che si tratta di un fenomeno multifattoriale, dove spesso è possibile ipotizzare diverse concause– spiega la psicologa del Laboratorio di psicopatologia del lavoro Eleonora Fontana –. A livello svizzero è stato però recentemente pubblicato uno studio dell’Università di Zurigo, condotto da Kawohl e colleghi, che ha potuto evidenziare un’associazione tra disoccupazione e tasso di suicidio, riscontrando che in Svizzera 150 casi di suicidio all’anno sono legati alla disoccupazione. Per quanto riguarda i casi seguiti dal Laboratorio di psicopatologia del lavoro, possiamo affermare di non essere mai stati confrontati finora con pazienti che si togliessero la vita o tentassero il suicido”.

Senza lavoro, la psiche si “inceppa” - «La perdita di un impiego e la difficoltà di rientrare nel mondo del lavoro – sostiene sempre la dottoressa Fontana – non comportano solo una perdita in termini economici. Spesso implica delle conseguenze sia sulla salute psico-fisica della persona che sulle sue relazioni sociali e famigliari. La persona tende a sviluppare vissuti di disistima e fallimento, che possono manifestarsi attraverso una sintomatologia ansioso-depressiva, un abuso di sostanze, o sintomi psicosomatici. Tali conseguenze rischiano di essere gravi soprattutto nei casi in cui la persona ha investito molto sul posto di lavoro (perdendo con esso quindi anche la propria identità), quando non può contare su una buona rete sociale di supporto e ha magari già una certa età. Ciò può causare una grande sofferenza e non si può escludere che la persona compia un atto come il suicidio».

Chiedere aiuto il prima possibile – “Chiedere un sostegno risulta molto importante proprio nell’ottica di poter prevenire la cronicizzazione del disagio psicologico. Il laboratorio di psicopatologia del lavoro si rivolge proprio a tutte le persone che manifestano una sofferenza psichica o che presentano problemi sociali, famigliari, economici e legali a causa di una situazione lavorativa problematica quale disoccupazione, precarietà, conflittualità sul posto di lavoro, mobbing, molestie, burnout, stress e licenziamento. Spesso siamo confrontati con dei casi in cui la persona si rivolge al nostro servizio quando la situazione si è già cronicizzata nel tempo, un consiglio che ci sentiamo di dare è quindi quello di chiedere aiuto il prima possibile”.

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