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GERMANIA / TICINOFrontalieri? “Da noi non potrebbe mai succedere come in Ticino"

25.11.14 - 14:42
La Germania e i frontalieri francesi: Claudia Peter (IG Metall): “Le aziende che operano sul nostro territorio devono pagare salari che permettano di vivere dignitosamente sul territorio tedesco"
Frontalieri? “Da noi non potrebbe mai succedere come in Ticino"
La Germania e i frontalieri francesi: Claudia Peter (IG Metall): “Le aziende che operano sul nostro territorio devono pagare salari che permettano di vivere dignitosamente sul territorio tedesco"

BERLINO - "No, da noi i frontalieri non rappresentano nessun problema". La voce è di un'operaio, raccolta in una tavola calda di Bühl, alla fine di una giornata di lavoro. Siamo nella regione del Baden, ai margini della Foresta Nera, a una trentina di chilometri a sud di Karlsruhe e a neppure un’ora di auto da Strasburgo. La frontiera con la Francia è a una dozzina di chilometri di distanza in linea d'aria. Eppure, facendo un giro nella zona industriale della città, contrariamente al Ticino, nei piazzali e nei grandi parcheggi delle tante fabbriche presenti sul territorio comunale, sono poche le automobili con targhe francesi. Forse una su venti, a volte una su cinquanta. A prevalere, in stragrande maggioranza, le sigle dei circondari del posto: RA (Rastatt), OG (Offenburg) , BH (Bühl), BAD (Baden-Baden)...

"Niente differenza salariale tra residenti e frontalieri" - Come mai? Qualcuno ci ha detto, che è ovvio che sia così, "perché prima vengono assunti i residenti, poi gli altri". "No, non è così" - ha risposto Claudia Peter, delegato sindacale della IG Metall, incontrata nella sede di Gaggenau, cittadina del circondario rurale di Rastatt, dove trova sede uno stabilimento produttivo della Mercedes-Benz e altre industrie metalmeccaniche. La filosofia è un'altra ed è altrettanto semplice e chiara: "Da noi la provenienza dei lavoratori non riveste alcuna importanza: semplicemente perché tutti sono pagati secondo il contratto collettivo di lavoro". Una regola chiara, che si basa su un principio condiviso da tutti, destra, sinistra, centro: le aziende, tedesche e non, che operano in territorio tedesco devono corrispondere ai propri lavoratori salari che consentano una vita dignitosa ai residenti.

"Da noi mai potrebbe succedere una cosa del genere come in Ticino" - Il principio è talmente ovvio che, quando raccontiamo delle paghe che girano in certe realtà aziendali ticinesi (vedi l’ultimo caso denunciato a metà novembre da Unia riguardante la Luxury, società della multinazionale francese del lusso Kering, dove i dipendenti impiegati al 70% per la maggioranza, guadagnano tra i 2.700 e i 2.300 franchi lordi per 13 mensilità),  Claudia Peter sgrana gli occhi: "La realtà ticinese non la conosco, ma da noi non potrebbe mai succedere una cosa del genere". La delegata dell’IG Metall, il sindacato più grande a livello mondiale e che rappresenta 2,266 milioni di lavoratori in Germania, ci spiega anche il motivo, in poche parole: "Contratti collettivi di lavoro e salari che consentono di vivere dignitosamente in Germania". "Da noi l'IGMetall - spiega la delegata sindacale - che raggruppa non solo il settore elettro-meccanico, ma anche tessile, della moda, della plastica e del legno, ha una quota di iscritti molto alta. Per farle un esempio, alla Mercedes di Gaggenau gli iscritti alla IG Metall superano il 90%. Ma non soltanto nelle grandi realtà industriali come Daimler o Siemens abbiamo un alto grado di organizzazione sindacale. Anche nelle imprese di piccola e media grandezza, come per esempio nella König Metall (azienda con sede a Gaggenau, ndr), oltre i 2/3 dei dipendenti sono iscritti al sindacato IG Metall". Il lavoratore dipendente si ritrova così tutelato quando c'è da negoziare per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro o se ci sono aziende non legate al contratto collettivo. "I nostri delegati di fabbrica rappresentano i lavoratori. Quando si discutono i salari o se l'azienda non aderisce al Contratto Collettivo di lavoro nasce il conflitto, che può sfociare in scioperi di avvertimento".

"A valere sono i contratti collettivi di lavoro" - La delegata sindacale ci spiega che gli operai del settore metalmeccanico e dell'elettronica industriale guadagnano oltre 2.000 euro al mese lordi e ci ribadisce il concetto: "Non c'è differenza di nazionalità. A valere sono i contratti collettivi di lavoro". Eppure non siamo convinti fino in fondo. Sembra tutto troppo bello. Sì, perché si dice che in Germania il costo del lavoro sia diminuito, che la globalizzazione e la caduta del muro di Berlino abbiano cambiato il mondo, che l'etica e la morale di tipo einaudiano dei datori di lavoro siano ormai un lontano ricordo, così come sia un ricordo il modello di economia sociale di mercato tedesco, in un mondo dove il ruolo del sindacato si dice che sia ormai al tramonto perché è la Cina il modello da seguire, con meno tutele ai lavoratori e più libertà di azione per gli imprenditori. Poi, guardando i dati, ci accorgiamo che il numero di iscritti all'IG Metall, dopo un calo durato una ventina di anni, dal 2011 è in ripresa, e Claudia Peter ci spiega, inoltre, che "in Germania un'azienda non può licenziare senza un motivo valido, che i salari reali nel settore metalmeccanico sono in aumento e che le regole per chi opera in Germania sono chiare e valgono per tutti. Impossibile pagare meno i lavoratori frontalieri". Troppo facile e comodo fare impresa così, senza tenere conto del territorio in cui si opera, del costo della vita, dei suoi cittadini.

"Nessun vantaggio ad essere frontalieri, né per le aziende ad assumerli" - Mentre percorriamo le strade della zona, tra Rastatt, Baden-Baden, Gaggenau e Bühl restiamo impressionati dai grandi stabilimenti industriali, ma anche degli immensi spazi verdi. Eppure l’aria è pulita. Le stazioni di rilevamento delle polveri sottili registrano valori pari alla metà di quelli rilevati in Ticino. Bühl conta neppure 30mila abitanti, ma offre circa 21.000 posti di lavoro. Nel suo territorio non trovano sede soltanto le grandi aziende tedesche come Bosch, Uhu (l'azienda che produce colle) e Luk (del gruppo tedesco Schaeffler, produttrice di cuscinetti volventi per l'industria), ma anche grandi realtà multinazionali come per esempio la GlaxoSmithKline, la GMT, e le svizzere USM Haller e Kaba. "Come vede, quando di principio vige un trattamento paritario, non vi sono ragioni di conflitto tra lavoratori, che siano residenti o frontalieri. Non vi è nessun vantaggio, ma neppure nessun svantaggio ad essere frontalieri, come non vi è nessun svantaggio ad essere residenti. I frontalieri pagano le imposte in Francia. I contratti collettivi di lavoro e il trattamento dei lavoratori in vigore da noi non rappresentano un ostacolo o uno svantaggio per il nostro "Standort". Da noi il tasso di disoccupazione è sotto il 4% (la disoccupazione giovanile tra i 15  e i 25 anni in ottobre del 2014 era del 2,8%, ndr). Le buone condizioni di lavoro che vigono nelle aziende sono il risultato di un conflitto. Il datore di lavoro di per sé non è un ente benefico, votato al sociale. Questo è il capitalismo e ciò non rappresenta nulla di nuovo. E' ovvio che le aziende e l'economia tendono ad approfittarsi delle lacune legislative esistenti in un determinato paese. Se esse trovano un sistema dove i lavoratori possono essere messi uno contro l'altro, dove non ci sono contratti collettivi di lavoro o dove non valgono per tutti, è normale che i datori di lavoro se ne approfittino. La questione riguarda il diritto del lavoro. Da noi vige una regola semplicissima: a parità di mansione, parità di trattamento salariale". Claudia Peter ci lascia con una bella stretta di mano e ci saluta così: "il sindacato in Germania l'anno prossimo festeggia i suoi 125 anni di esistenza". Erano i tempi di Otto von Bismarck...

 

Alla fine del 2012, stando ai dati statistici della regione Baden-Württemberg, erano 41.000 i frontalieri francesi impiegati in Germania. Nella Regione del Reno Superiore (Baden e Palatinato meridionale), dove ci siamo recati per la nostra inchiesta, il numero dei lavoratori frontalieri è addirittura in diminuzione. Se nel 1999 se ne contavano ancora 36.000, a fine 2012 il loro numero è sceso a 26.000.

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