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BELLINZONA"La mia vita da bracciante, tra minacce e umiliazioni"

29.10.14 - 07:01
Quando a zappare è un somalo: "Mi facevano lavorare 17 ore al giorno"
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"La mia vita da bracciante, tra minacce e umiliazioni"
Quando a zappare è un somalo: "Mi facevano lavorare 17 ore al giorno"

BELLINZONA - Sembrano lontani i tempi in cui i servi della gleba erano schiavizzati e relegati su un piccolo appezzamento di terra. Ma la storia, come si sa, in molti casi non insegna. Ed ecco l’esempio dell’ennesima azienda agricola che sgarra, esce dal seminato e dissotterra, per certi versi, lo schiavismo. "Sono disperato – ci dice John* –, oltre il danno anche la beffa. Il mio datore di lavoro mi ha lasciato a casa e non mi ha pagato". Il nostro interlocutore è un giovane somalo, arrivato nel nostro Paese ben 10 anni fa. Dopo un periodo come richiedente l’asilo riesce a ottenere il permesso di soggiorno. È integrato, parla correttamente l’italiano e rispetta la Legge. La sua unica colpa? Aver trovato non un datore bensì un padrone di lavoro. "Turni massacranti, lavoravo anche 17 ore al giorno, 7 giorni su 7. Ero in possesso di un contratto di lavoro, ma...". Già, c’è un “ma”. La convenzione era fittizia, perché la paga pattuita di 3200 franchi lordi, John, non l’ha mai vista nemmeno nei suoi sogni. "Praticamente mi pagava all’ora e ogni mese trovava delle scuse per togliermi dei soldi dalla busta paga. Addirittura se si perdeva o si rompeva un coltellino da lavoro te lo faceva pagare 50 franchi". Alcuni suoi connazionali, in un guizzo d’orgoglio e di giustizia, si sono mossi contro il capo. "Lo hanno denunciato ma non è successo nulla. O meglio qualcosa è successo: continue minacce, anche di morte. Per quel motivo io lavoravo a testa bassa e non ho mai fiatato... fino ad oggi”.

Il periodo buio da asilante, la luce del permesso, l’incognita per il futuro – “Il primo periodo in Svizzera è stato duro, ma da subito ho avuto la voglia di integrarmi. Volevo fare una scuola, inserirmi nel mondo del lavoro ma ho trovato, purtroppo, solo porte chiuse: Sono rimasto in assistenza per ben due anni, due anni dove non ho combinato nulla. Quello che mi fa amaramente sorridere è che ho chiesto alle varie istituzioni di trovarmi un lavoro ma… nulla”. Poi, nel 2010, uno spiraglio di luce con il permesso di soggiorno. “Il problema adesso è che non me lo vogliono rinnovare: Se mi rimandano in Somalia sono un uomo morto. Nel mio paese sanno che sono in Svizzera, pensano che ho un sacco di soldi, mi sparerebbero solo per estorcermi pochi spiccioli. Mio padre lo hanno ucciso per prendere i 50 franchi che gli ho inviato con i primi soldi dell’assistenza”.

Sei in assistenza? Ti pago in nero - Il malandazzo è legato anche ad alcuni richiedenti l’asilo iracheni (ma non solo). A quanto pare alcuni lavoratori, oltre a ricevere i soldi dall’assistenza, lavorerebbero per quest’azienda agricola in nero. "Io ho denunciato il caso all’Ufficio del lavoro, mi hanno risposto che loro non possono fare nulla. A questo punto mi sono recato in polizia per sporgere denuncia e con mia grande sorpresa mi hanno rimpallato all’Ufficio Esecuzioni e fallimenti per emettere un atto esecutivo". Inoltre, a maggio, la Polizia sembrerebbe aver eseguito un intervento e controllato i braccianti: “Quel giorno, mi hanno detto, sono stati portati via 5 macedoni che lavoravano senza permesso e in nero”.

Un problema di pelle? – “Io ho chiesto aiuto, più volte. Nessuno mi ha dato ascolto e adesso non so più cosa fare. La mia pelle nera, secondo me, gioca un ruolo importante. Le istituzioni non mi ascoltano, la polizia non mi prende sul serio e il padrone dove lavoravo mi maltrattava. Io voglio solo quello che mi spetta, mi sta anche bene che mi abbia licenziato… voglio solo i soldi guadagnati con il sudore della mia fronte”.

*nome noto alla redazione

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