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CANTONE"Per lavorare in banca serve pelo sullo stomaco"

01.03.13 - 14:17
Il 25% degli impiegati bancari assume antidepressivi. Radiografia di un sistema sull'orlo di una crisi di nervi con Raffaella Delcò, psicologa del lavoro
Foto Keystone Martin Ruetschi
"Per lavorare in banca serve pelo sullo stomaco"
Il 25% degli impiegati bancari assume antidepressivi. Radiografia di un sistema sull'orlo di una crisi di nervi con Raffaella Delcò, psicologa del lavoro

LUGANO - Circa il 25% degli impiegati di banca in Svizzera assume farmaci antidepressivi o sonniferi. Il dato, allarmante (legato a uno studio di qualche anno fa), è tornato d’attualità grazie agli appelli di Denise Chevret, direttrice dell’Associazione svizzera impiegati di banca. La percentuale fa rabbrividire se si pensa che i consumatori di farmaci delle altre categorie si assestano attorno al 10%. Sulla questione abbiamo interpellato Raffaella Delcò, psicologa del lavoro con un’esperienza ventennale nel settore bancario. La sua è un’analisi che parte da lontano.

“Le banche – spiega - vivono oramai da tempo in una sorta di occhio del ciclone. ‘Colpa’ anche degli scandali mediatici degli ultimi anni. Le figure del banchiere e del bancario subiscono tuttora una sorta di riposizionamento identitario piuttosto disorientante. Da professioni rispettabili sono diventate poco amate dall’opinione pubblica. Già di per sé questo è un cambiamento che mette in crisi il lavoratore”.

 

Queste sono riflessioni legate alla professione in generale. Spesso però è il singolo individuo a soffrire…

E qui spetta al singolo dipendente stabilire oltre quale limite non riesce ad andare. Cercare di definire qual è la propria soglia di sopportazione. L’allineamento tra i valori aziendali e quelli dell’individuo è possibile. Il fatto è che l’ambiente bancario è individualista e quindi spesso si ha la sensazione di essere soli nel sorreggere i problemi.

 

E c’è anche una buona dose di incertezza.

Ad esempio c’è quella dovuta alla sempre maggiore complessità del contesto economico e finanziario mondiale, insieme alle incalzanti richieste in materia di regolamentazioni fiscali provenienti da molti Paesi esteri. Poi c’è l’incertezza vissuta dai collaboratori in seguito a vendite o a fusioni con altri istituti finanziari. E ancora: l’incertezza dovuta alla crisi, che impone la ridefinizione delle strategie aziendali e che mette in forse la sicurezza del posto di lavoro.

 

Si ha la sensazione che l’ambiente bancario sia selettivo a dismisura. È così?

Tutto l’ambiente finanziario è esigente in termini di competenze richieste e di obiettivi da raggiungere. Si ha un orientamento all’eccellenza e alla competizione. Caratteristiche queste che in parte vanno a beneficio di un’accresciuta motivazione personale ma che, abbinate a un sempre crescente onere lavorativo, mettono a dura prova la sopportazione dello stress.

 

Quali sono i rischi che ne conseguono?

Quando l’ ‘optimum’ viene troppo spesso oltrepassato, allora il benessere personale diminuisce e si innesca un circolo vizioso di stanchezza. Alla lunga può sfociare in un malessere cronico: le molte ore passate sul posto di lavoro, il fatto di rendersi disponibile praticamente 24 ore al giorno, ferie comprese, la difficoltà a staccarsi anche solo mentalmente dalle faccende professionali, la lista dei ‘lavori in sospeso’ che non accenna a diminuire, possono portare i lavoratori ad assumere un comportamento ‘reattivo’. Un comportamento volto all’immediato e imposto dalle continue urgenze, perdendo così la percezione dell’agire sul lungo periodo, elemento necessario per una buona efficacia personale.

 

In alcuni contesti è pure difficile rendersi conto del proprio reale contributo alla causa. Conferma?

Sì. Soprattutto nelle grandi organizzazioni, in cui i passaggi e i processi verso l’implementazione delle strategie sono molteplici, può risultare difficoltoso per l’individuo riconoscere l’impatto del proprio contributo al raggiungimento degli obiettivi aziendali. E questo può portare a una sorta di alienazione percepita tra il sé e il gesto.

 

In altre parole?

Quando una persona non riesce a comprendere, nel contesto aziendale, l’impatto e l’utilità del proprio agire, può sviluppare insoddisfazione che si trasformerà con il tempo in un sentimento di impotenza. Il fatto di riuscire a percepirsi come “protagonisti” della propria vita professionale costituisce un elemento fondamentale per la motivazione e per il benessere personale. E se così non è, la persona può risentirne fino a perdere il significato del proprio agire e a sviluppare malessere.

 

Per chiudere: quanto pelo sullo stomaco ci vuole, oggi, per lavorare in banca?

Parecchio. L’ambito bancario è sicuramente sfidante. Le cose con il tempo potrebbero cambiare. Ma il presente è questo e i collaboratori lo sanno.

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