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INTERVISTAIl mondo segreto dietro gli occhi di ghiaccio di Charlotte Rampling

02.08.12 - 14:24
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Il mondo segreto dietro gli occhi di ghiaccio di Charlotte Rampling

LOCARNO – Camicia bianca, pantaloni neri. Ai piedi francesine nere con il tacco. Alta, magra, senza un velo di trucco, quasi a esibire con totale naturalezza e fierezza la propria autenticità. I suoi occhi grigio-verdi pieni di bagliori, sono taglienti come una lama di ghiaccio. Come taglienti sono le sue risposte: precise, schiette, dirette. Charlotte Rampling si è presentata al pubblico di Locarno così: una donna e un'attrice che non ha paura del tempo che passa.

Figlia di un colonnello inglese e di una pittrice, come è arrivata al cinema?
“Probabilmente mio padre mi avrebbe visto bene come segretaria in ufficio. Ma i giovani della mia generazione avevano la possibilità di provare molte cose. Prima di buttarmi nel cinema, ho fatto cabaret con mia sorella, cantavo in francese e in inglese in numerosi teatri. Ho comunque iniziato a fare cinema molto presto e ho esordito in Le Knack di Richard Lester. Un film sul fenomeno del Swinging London, la rivoluzione culturale di Londra che ha segnato un periodo di fantasia, ottimismo, sogni e piaceri”.

Ci può parlare di Luchino Visconti, un incontro importante per la sua carriera?
“Visconti mi aveva visto in alcuni film, come Sequestro di persona girato in Italia e ha voluto incontrarmi”.

Nella caduta degli dei, lei gira con un cast molto internazionale e interpreta il ruolo di una donna più vecchia. Che effetto le ha fatto? Ci può parlare di come Visconti lavorava con gli attori?
“All'epoca avevo 22 anni e il ruolo che mi attendeva era quello di una donna di 30 anni con due figli di 6 e 7 anni.  Questa situazione un po' mi spaventava. In fondo ero ancora senza esperienza. Così ho rivolto la domanda direttamente a Visconti: 'perché mi vuole in questo ruolo'?  Ecco che cosa mi aveva risposto: 'quello che conta per un attore è ciò che ha dietro gli occhi. E dietro gli occhi degli attori può nascondersi qualsiasi età. Non hai la minima idea di quanto esiste nei tuoi occhi e nel tuo sguardo. Ecco perché sarai nel mio film. Ti darò tutto, gli abiti, il set, la storia. Quello che ti chiedo è di recitare per me'. Visconti è diventato una persona immensamente importante, perché mi ha fatto capire quanto i miei occhi - e la forza che c'era dietro - fossero rilevanti per me e per il mio lavoro.

Parlando di quello che c'è dietro i suoi occhi, non possiamo non menzionare un altro film importantissimo girato in Italia: Portiere di notte. Un film nero, violento, controverso, dove lei ha una parte misteriosa e a tratti perversa. Le corrisponde il bisgono di indagare in questo genere di situazioni e personaggi molto scabrosi e tenebrosi?
“Portiere di notte si inserisce in un momento storico dove il cinema ha cominciato a voler parlare della realtà, delle cose che succedevano nel mondo. E poi io non avevo molta voglia di fare dell'intrattenimento. Comunque grazie a Visconti ho compreso che questo era il cinema che volevo fare: un cinema molto impegnato che trasmette storie vere al pubblico. Il film di Liliana Caviani Portiere di notte è appunto basato su una storia vera e racconta la vicenda di Lucia, che ha avuto relazioni sessuali con un nazista, suo carceriere in un campo a Vienna. Il film porta sullo schermo una realtà senza veli e senza la volontà di nascondere alcunché. Chiaramente quella del Portiere di notte era una realtà pericolosa da mostrare, una realtà che nessuno voleva più vedere”.

Quando ha accettato di prendere parte al film, aveva un'idea di che cosa le sarebbe aspettato e dell'impatto che il film avrebbe avuto?
“Pensavo che fosse un film sperimentale e che mostrare al pubblico una realtà così scabrosa, sarebbe stata un'esperienza fortissima. Portiere di notte è una storia che forse non sarebbe mai stata accettata e non sarebbe mai stata vista se non ci fosse stato il film. Quando inzi un film come questo non puoi mai sapere che impatto avrà. Ma devo dire che le difficoltà e le complessità mi corrispondono bene”.

Ha girato in tutto il mondo, diversi generi di film e con diversi attori e attrici. Perché? Era forsa alla ricerca di qualche cosa?
“Sì, credo che fare cinema sia in qualche modo una sorta di ricerca, un modo per scoprire e scoprirsi.  I ruoli che interpreti, così diversi tra loro, ti fanno sempre scoprire qualcosa di te e di come sei nella vita. Devo dire che in tutte le storie ho trovato il mio posto, in alcuni mi sono trovata meglio, in altri meno. Ma a me piace sperimentare, confrontarmi con linguaggi, stili  e generi cinematografici diversi. Ciò che conta è credere profondamente nei ruoli che intepreto, che devono avere un carattere in cui io credo. Altrimenti non mi interessa prendere parte a un film”.

Anche in Francia ha avuto una carriera interessante. Quali i registi con cui ha amato lavorare?
“Con Jacques Deray. Ho amato molto il film On ne meurt que deux fois, un film poliziesco con Michel Serrault. Un film molto noir. Mi è piaciuto anche girare La Chair de l'orchidée, un film di Patrice Chéreau , una storia molto intensa e misteriosa. Ho amato anche lavorare con Claude Lelouch, un regista bravissimo, perché segue molto bene gli attori e gli attrici che ama e rispetta profondamente.

Un film importante con registi della nuova generazione, è certamente stato “Sous le sable” di François Ozon. Che cosa ci dice di questa esperienza,  in cui lei ha recitato in modo magistrale?
Il film ha avuto un grande successo. Ed è a me molto vicino. François ha lavorato più con e sulla donna Rampling, che sull'attrice. Il personaggio di Marie è diventato  a poco a reale, è diventato me pur non essendo me. E' questo che ti dà tanta soddisfazione: trasmettere profondamente qualcosa.

Durante il Festival saranno proiettati tre film, tra cui I, Anna, il film di cui suo figlio Barnaby Southcombe è regista. Come è andata per lei? E' stata un'esperienza particolare lavorare con il figlio?
Particolare no. Di solito quando un regista mi chiede se voglio girare un film, non è mai una questione di necessità, ma mi assicuro che il ruolo corrisponda al mio universo. Con Barnaby,  che sta lavorando contemporaneamete a diverse cose, è stato diverso. Abbiamo parlato molto prima che io accettassi il ruolo. E poi che dire, io sono stata evidentemente felice di girare per mio figlio e con mio figlio.

Tornando ai suoi occhi e al suo sguardo, il critico Barry Norman ha creato il verbo “to rample”? Come lo possiamo tradurre?
(ride) “Beh non significa solo ipnotizzare un uomo con sguardo magnetico e erotico. Significa proprio andare oltre....insomma, fare sesso”.

 

 

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