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BELLINZONAMarco Ottini: "Ecco come ho vissuto questi 26 mesi d'inferno"

04.05.12 - 15:44
Tutte le verità dell'ex municipale, licenziato dalla Protezione civile due anni fa, ma ora riabilitato dal tribunale amministrativo: "Un altro forse si sarebbe buttato sotto al treno"
Ti-Press (archivio)
Marco Ottini: "Ecco come ho vissuto questi 26 mesi d'inferno"
Tutte le verità dell'ex municipale, licenziato dalla Protezione civile due anni fa, ma ora riabilitato dal tribunale amministrativo: "Un altro forse si sarebbe buttato sotto al treno"

BELLINZONA – “Un’altra estate con questa spada di Damocle sulla testa non l’avrei retta”. Marco Ottini vuota il sacco. Per 26 lunghi mesi l’ex capo istruttore della protezione civile del Bellinzonese, e ormai ex municipale PLR, è stato costretto a tacere. Fino a qualche giorno fa, quando il Tribunale amministrativo cantonale ha ufficialmente giudicato abusivo il suo licenziamento in tronco. La mattina del 22 febbraio 2010, alle 11 in punto, Ottini veniva messo alla porta dai suoi superiori, accusato di abusi nel tempo di lavoro e nell’uso di mezzi informatici. La storia finisce subito in pasto ai media e c’è pure chi parla del presunto ritrovamento di materiale pornografico. Ora però il licenziamento di Ottini viene annullato. E Ottini in linea teorica potrà tornare a lavorare. “In 2 anni nessuno mi ha offerto uno straccio di lavoro. La disoccupazione è stata dura da digerire. Ma ancora di più il fatto di non potere dimostrare la mia innocenza alla gente che mi fermava per strada”.

Un mese fa per soli 122 voti lei non è stato confermato nel Municipio di Bellinzona. Quanta colpa dà a questa vicenda?
"Se la sentenza del Tribunale amministrativo fosse arrivata in marzo probabilmente oggi sarei ancora in Municipio, 122 voti sono pochi. Chi era incerto, nel dubbio, ha preferito votare qualcun altro. Non ne faccio un dramma però, oggi sono sereno, sono finalmente uscito dal limbo. Mi è andata bene, ho insistito, mi sono battuto per la verità e non mi sono autoescluso dal tessuto sociale, ho continuato a camminare tra la gente, ad andare al mercato. Il fatto di essere municipale mi ha aiutato a liberare la mente, così come il volontariato svolto presso il Bellinzona Calcio. Devo ringraziare i miei amici, i miei parenti, chi mi ha creduto. Se non fossi stato così integrato socialmente, chissà come sarebbe finita. C’è gente che non riesce a resistere alla gogna mediatica e magari si butta sotto al treno. Forse bisognerebbe pensarci, a queste cose, prima di sparare a zero su una persona senza avere prove concrete. A me è andata bene, lo ripeto". 

È riuscito a darsi una spiegazione dell’accaduto? Perché qualcuno avrebbe orchestrato questa manovra per farla licenziare?
"Non lo so. Il fatto che io sedessi in Municipio a qualcuno non piaceva. Lo percepivo. Ma sono supposizioni".

Ora lei è fuori dal Municipio. I suoi misteriosi avversari hanno vinto, no?
"No, non hanno vinto. Nella vita le vittorie non si misurano solo con questi particolari".

In tutto questo tempo ha mantenuto i contatti con i suoi ex colleghi della protezione civile?
"No. Tranne una sola persona nessuno si è fatto vivo. È triste constatarlo. Probabilmente i pregiudizi o la paura di mettersi contro i più forti hanno prevalso.  Mi è capitato però di incontrare diversi giovani che avevo seguito durante i corsi di formazione. Da loro ho ricevuto forza e coraggio".

Scusi, ma con queste premesse lei tornerà a occupare la sua scrivania?
"Sì. Perché io ho sempre fatto questo lavoro con passione, perché dovrei rinunciare  a qualcosa che mi piace tanto? Se qualcuno mi vuole male non è un mio problema. Ho 53 anni e due figli, non ho più voglia di stare a casa". 

All’epoca dell’inchiesta contro di lei qualcuno disse che Marco Ottini occupava il 70% del suo tempo lavorativo per ‘fare altro’…
"Già, peccato che la maggior parte del mio tempo di lavoro è all’esterno dell’ufficio, lontano dai computer. Io ho ammesso subito di avere avuto delle colpe. Ma si trattava di inezie rispetto alle pesanti accuse che mi sono state lanciate".

Il presidente della Delegazione consortile Stefano Mossi ha lasciato intendere che potrebbe ricorrere al Tribunale federale.
"Non so perché ma Mossi ha sempre avuto un accanimento viscerale nei miei confronti. È un suo diritto fare ricorso, ma non lo faccia con i soldi dei contribuenti. Io l’avvocato me lo sono pagato di tasca mia e non nascondo di essere stato costretto a farmi prestare dei soldi da amici". 

Cosa le resta di questi due anni e due mesi?
"Nonostante l’amarezza, è stata una grande lezione di vita. Ho imparato che con i pregiudizi e con i processi alle intenzioni non si arriva da nessuna parte. Forse da adesso in avanti vivrò anche per questo. Per battermi contro le diffamazioni e le loro vittime".

 

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