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SETTIMANA DELLA CRITICADavid Lynch, o l’arte senza sofferenza

08.08.07 - 08:31
David Lynch, o l’arte senza sofferenza
« L’importante non è il risultato ma il piacere che provi a raggiun­gerlo. Per molti il concetto di arte è indissolubilmente legato a quel­lo di sofferenza, ma io sono con­vinto del contrario: più sei sereno, più sei in chiaro con te stesso e me­glio riuscirai ad esprimerti attra­verso la tua attività artistica ». Que­sti –tradottiinparolepovere–al­cuni dei concetti espressi nel do­cumentario Lynch, firmato con lo pseudonimo Black ANDWhite da un collaboratore di lungo corso del regista statunitense (Jason S.), pre­sentato ieri dalla Settimana della Critica. L’ottima affluenza registra­ta al Kursaal (quasi tutto esaurito alle 11 del mattino)dimostra co­me tra i frequentatori del festival i lynchiani costituiscano una tribù numerosa e come i film che pro­mettono di svelare i segreti del la­voro di un cineasta suscitino sem­pre grande interesse.

Filmato (per 700 ore ridotte a 82 minuti in montaggio) sull’arco di due anni, mentre è impegnato nella preparazione e nelle riprese del suo ultimo lungometraggio In­land Empire, David Lynch parla, riflette, ricorda ma soprattutto agi­sce: dipinge, fotografa, esplora, scolpisce, intaglia... L’immagine che emerge dal film è quella di un artista «totale», la cui opera è da leggere come un unicum e i cui film ne rappresentano solo il ca­pitolo più noto al grande pubblico. Incombe sull’insieme l’ultratren­tennale pratica della meditazione trascendentale che Lynch, pur parlandone molto poco, conside­ra come la base della propria esi­stenza. In un film che non si ap­piattisce sullo stile del «maestro» ma trova una sua via originale sia a livello di immagini che di mon­taggio, i fans apprezzeranno so­prattutto i momenti in cui Lynch dialoga con i suoi attori, comuni­cando loro le sensazioni da espri­mere che nel film effettivamente ci saranno. Non è poco. A.M.
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