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LUCERNAL'angelo della morte resta in catene

24.05.16 - 19:03
Deve rimanere in carcere l'infermiere lucernese che tra il settembre 1995 e il giugno 2001 aveva ucciso 22 anziani in tre cantoni della Svizzera centrale
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L'angelo della morte resta in catene
Deve rimanere in carcere l'infermiere lucernese che tra il settembre 1995 e il giugno 2001 aveva ucciso 22 anziani in tre cantoni della Svizzera centrale

LUCERNA - Deve rimanere in carcere l'infermiere lucernese che tra il settembre 1995 e il giugno 2001 aveva ucciso 22 anziani in tre cantoni della Svizzera centrale. Le autorità giudiziarie del canton Lucerna hanno respinto una richiesta di liberazione condizionale. L'"angelo della morte" era stato condannato nel 2006 all'imprigionamento a vita.

La decisione è stata confermata oggi al giornale regionale della radio SRF dal responsabile dell'Ufficio cantonale dell'esecuzione delle pene, Stefan Weiss. L'ex infermiere potrebbe ancora interporre ricorso, ha aggiunto Weiss.

L'"angelo della morte" era stato riconosciuto colpevole di assassinio in sette casi e di omicidio intenzionale in altri 15, nonché di mancato assassinio in tre casi e tentato assassinio in due, mentre per due morti l'imputato era stato prosciolto dall'accusa rispettivamente di mancato assassinio e di mancato omicidio intenzionale.

Stando ai giudici, l'uomo aveva dimostrato una grandissima energia criminale che giustificava il massimo della pena e il fatto che l'uomo avesse confessato nulla toglieva alla gravità dei fatti.

Le vittime dell'infermiere avevano tra i 66 e i 95 anni. Molte di loro soffrivano di demenza senile. L'"angelo della morte" aveva agito in tre cantoni - Lucerna, Obvaldo e Svitto - uccidendo i pazienti con la somministrazione di dosi eccessive di tranquillanti o soffocandoli con sacchetti di plastica o lenzuola.

Dopo l'arresto, avvenuto il 28 giugno 2001 a Lucerna, aveva sostenuto di aver ucciso soprattutto per compassione di fronte alla sofferenza dei pazienti, ma anche come reazione all'eccessivo carico di lavoro, suo e dei colleghi. Poi nel corso del processo di primo grado aveva espresso rammarico e chiesto perdono ai parenti delle vittime.

 

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