Nei suoi attacchi, Boko Haram usa un mezzo della Mowag. Un motivo in più per la sinistra di vietare le esportazioni
ZURIGO - Con cadenza pressocché quotidiana i media nigeriani riportano di nuovi attacchi portati a segno dal gruppo terroristico Boko Haram. Sempre più spesso in queste notizie compare il nome di un’azienda svizzera: la Mowag. Durante un assalto condotto a fine luglio, infatti, Boko Haram è riuscito a sottrarre all’esercito nigeriano molte armi pesanti fra le quali anche un carro armato dell’azienda di armamenti di Kreuzlingen. Come dimostrano ricerche effettuate da 20 Minuten, si tratta di un Piranha I 6x6.
Più di 100 Piranha in Nigeria - Negli anni passati, un carro armato gommato dello stesso tipo era visibile anche in diversi video diffusi dal gruppo terroristico. Secondo alcuni racconti, anche il leader dell’organizzazione, Abubakar Shekau, si farebbe spesso portare in giro sul mezzo di produzione svizzera. Mowag conferma che si tratta «molto probabilmente» di un Piranha I, modello consegnato circa 30 anni fa al governo nigeriano. In base alle informazioni disponibili online, l’esercito del Paese africano dispone di 110 Piranha provenienti dalla Confederazione e almeno uno è finito in mano a Boko Haram.
Per Lewin Lempert, segretario del gruppo Per una Svizzera senza esercito, ciò dimostra ancora una volta l’impossibilità di controllare le esportazioni di armi: «Il pericolo che le armi finiscano in mani sbagliate, specialmente quelle dei terroristi, è estremamente alto», commenta. Lempert ricorda per esempio come in un attacco in Turchia a un attentatore dell’Isis siano state trovate granate della Ruag nel bagaglio.
Chiesto un divieto di esportazione - Secondo Lempert, se la Svizzera tiene davvero alla lotta contro il terrorismo dovrebbe vietare l’esportazione di materiale bellico. Dello stesso avviso è anche la socialista Chantal Galladé: «È assurdo che si prendano tutte le misure anti terrorismo possibili e immaginabili, ma si vendano armi in tutto il mondo», afferma. Quest’ultimo caso, secondo Galladé, dimostra che il materiale bellico viene presto o tardi usato contro la popolazione civile. I partiti di sinistra, tuttavia, si sono sempre scontrati contro il Parlamento e le urne nel loro tentativo di vietare le esportazioni di armi. L’ultima iniziativa a riguardo è stata bocciata nel 2009. Galladé spera in un cambiamento di mentalità: «Anche i politici borghesi devono riconoscere che non possiamo mettere il profitto al di sopra dell’incolumità delle persone».
Il consigliere nazionale Ppd Jakob Büchler controbatte: «Già oggi le regole per l’esportazione di armi sono molto rigide, da molto tempo non tutti i Paesi possono comprarne dalla Svizzera», spiega. Per un panzer finito illegalmente nelle mani dei terroristi non bisogna stroncare un intero settore, aggiunge: «Un divieto di esportazione metterebbe a rischio migliaia di posti di lavoro in Svizzera», mette in guardia Büchler.
Sotto l’attuale legislazione in materia di metriale bellico, in vigore dal 1998, la Svizzera non ha mai autorizzato esportazioni verso la Nigeria. I motivi, secondo la Seco, sono l’insoddisfacente situazione dei diritti umani nel Paese e il rischio di un abuso delle armi.
Nella prima metà del 2016 la Svizzera ha esportato materiale bellico per 224 milioni di franchi. Grossi ordini sono stati consegnati, fra gli altri, al Pakistan, all’India e al Sudafrica.