E' quanto emerge da un sondaggio di 20 Minuti a cui hanno partecipato quasi 22mila persone
BERNA - Molti svizzeri chiedono una politica di integrazione più rigida. L’esperto chiede che tutti i cantoni agiscano nello stesso modo.
Il 68% degli svizzeri chiede che la politica di integrazione pretenda dagli immigrati il rispetto di alcuni "punti essenziali" delle usanze locali. Un esempio? Anche le bambine e ragazze musulmane dovrebbero partecipare alle lezioni di nuoto. È ciò che emerge da un sondaggio ponderato di 20 minuti a cui hanno partecipato quasi 22 000 persone. Il 20% degli intervistati ritiene che gli stranieri debbano poter vivere la propria fede e la propria cultura indisturbati, a condizione che rispettino la legge. L’11%, invece, chiede che qualunque simbolo religioso non cristiano sia vietato in pubblico.
L’esperto di migrazione Thomas Kessler spiega: "Integrazione significa sostegno, ma anche impegno. Per esempio bisogna richiedere con decisione l’istruzione obbligatoria". Tuttavia mette in guardia dal voler cercare la soluzione solo attraverso maggiore repressione. La cosa più importante, dice, è che i giovani migranti abbiano una prospettiva di istruzione e di lavoro.
Kessler si rammarica del fatto che non tutti i cantoni e comuni adottino le stesse politiche di integrazione. I problemi, spiega, si verificano soprattutto nei grandi agglomerati: "Molti hanno i problemi delle grandi città, ma le strutture della provincia. Spesso sono sopraffatti dalla questione dell’integrazione". Ed è proprio lì che si scorgono i focolai di problemi. "Bisognerebbe prendere una cartina della Svizzera e impiegare personale specializzato dove la disoccupazione giovanile è più alta", afferma Kessler. Perché la radicalizzazione, come può essere il caso della moschea di Winterthur, funge come una specie di "compensazione" dove le altre prospettive sono carenti. "Chi non riceve gratificazioni, cerca di ottenerle all’interno della comunità religiosa".