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SVIZZERAOperatrici sessuali per disabili: "Non chiamateci prostitute"

18.06.13 - 07:25
Nella Svizzera romanda è una realtà già da alcuni anni. Ecco i requisiti per diventare "assistenti sessuali". L'accusa al Ticino: "Da voi è un argomento tabù"
Una scena del film The Session
Operatrici sessuali per disabili: "Non chiamateci prostitute"
Nella Svizzera romanda è una realtà già da alcuni anni. Ecco i requisiti per diventare "assistenti sessuali". L'accusa al Ticino: "Da voi è un argomento tabù"

GINEVRA – A (ri) lanciare il sasso nello stagno era stato di recente il granconsigliere di Basilea Città Eric Weber con una proposta choc: “Lo Stato paghi le prostitute ai disabili”. Da allora sono arrivate decine di reazioni  da ogni angolo della Svizzera. Anche da sud delle Alpi, con le interviste di Ticinonline ad alcuni direttori d’istituto. La provocazione di Weber rilancia il dibattito attorno alla figura controversa dell’assistente sessuale. Un profilo che in Svizzera tedesca è già realtà da una decina d’anni. In Romandia invece si è profilato solo a partire dal 2009 con la formazione di una dozzina di persone. “Sei uomini e sei donne – spiega Catherine Agthe, presidente e formatrice per l’associazione Sexualité et Handicaps Pluriels, attiva in tutta la Svizzera francese –. Si tratta di gente con una spiccata sensibilità e con una grande capacità di ascolto”.

Signora Agthe, quanto si guadagna a fare questo mestiere?
"Non è una professione che può essere svolta a tempo pieno. Non vogliamo che sia così. Altrimenti significherebbe quasi dovere provocare la persona disabile. Incentivarla a desiderare un nuovo incontro. Si cadrebbe nella prostituzione. E qui, invece, la prostituzione non centra nulla. No, quella dell’assistente sessuale è da considerarsi un’attività accessoria. Per un’ora di ‘assistenza’ si chiedono 150 franchi".
 
Da Basilea Città è arrivata una grossa provocazione. È opportuno che lo Stato si faccia carico di determinati costi? E, considerando la vostra attività, è ipotizzabile pensare che il Cantone paghi l’assistente sessuale a un andicappato?
"No. Non deve assolutamente accadere. Perché un andicappato può anche innamorarsi del proprio assistente sessuale. Il fatto di doverlo pagare di tasca propria gli impone dei limiti. La gratuità invece potrebbe fare cadere ogni barriera. E poi c’è anche un discorso di discriminazione da fare. Lo Stato deve pagare le prestazioni sessuali per i disabili? E perché non a tutti allora?"

Quali sono i requisiti per fare l’assistente sessuale?
"Bisogna avere compiuto almeno 35 anni. E questo perché riteniamo che una persona che svolge questo ruolo deve avere già fatto le sue esperienze con il sesso, deve avere una certa maturità sessuale, un determinato equilibrio. E poi occorre avere la capacità di accettare l’andicap, oltre a una grande apertura mentale. Non bisogna inoltre avere paura di mettere il proprio corpo in relazione con il disabile".
 
Quante persone si sono fatte avanti prima dell’inizio della formazione?
"Gli interessati erano circa un’ottantina. La selezione è durata due anni".

Cosa desiderano i disabili che richiedono questo servizio?
"In totale finora si sono rivolte a noi circa 200 persone andicappate. Alcuni desiderano semplicemente dell’affetto. Vorrebbero essere accarezzati, sentire un corpo nudo sulla loro pelle. Altri invece chiedono di essere masturbati. Altri ancora vogliono una penetrazione completa. Non tutti gli assistenti sessuali però sono disposti a spingersi fino a questo punto. In ogni caso le nostre sono tutte prestazioni di qualità. Vogliamo che il disabile viva un momento davvero rigenerante".
 
Perché, secondo lei, nella Svizzera italiana la figura dell’assistente sessuale per disabili non è presente?
"Questione di cultura. In Ticino la cultura di riferimento è quella italiana. Queste cose sono tabù. Se ne parla, questo sì. Io stessa ho tenuto dei corsi a sud delle Alpi. Si sa che il problema esiste. Però è come se nessuno avesse il coraggio di prendere l’iniziativa. Peccato, ce ne sarebbe un gran bisogno".

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