Patrick Fischer, dopo aver prolungato il suo contratto come head coach della Svizzera per altri due anni, si gode le vacanze ma guarda avanti: «Puntiamo sui giovani e a cambiare il nostro gioco»
IBIZA (Spagna) - Un rinnovo biennale tanto sperato e finalmente arrivato, un Mondiale d'esordio complicato e concluso già alla fase a gironi da cui imparare, e tanta voglia di ripartire: Patrick Fischer si sta gustando le vacanze ma non distoglie gli occhi dall'hockey.
«Ovviamente sono contento della decisione presa dalla Federazione - ha esordito - Si parlava tanto di quest'opportunità, di continuare a lavorare assieme ma non c'era nulla di ufficiale. Da parte mia c'era tanta voglia di seguire il progetto che abbiamo ideato».
La Federazione però ha rinnovato solo il tuo contratto. von Arx e Hollenstein: quale sarà il loro futuro?
«L'intenzione era quella di definire prima l'head coach della Nazionale maggiore e dell'U20, poi decidere gli assistant coach. Staremo a vedere quale sarà la presa di posizione definitiva, ma con loro mi sono trovato bene».
Hai parlato di progetto: quali sono le tue idee? E cosa hai capito da questo Mondiale?
«È molto semplice: voglio, anzi vogliamo, costruire una Nazionale capace di dettare il gioco, di avere un gioco propositivo. In passato abbiamo sempre puntato su difesa e ripartenze; vogliamo cambiare perché sappiamo che abbiamo gli uomini per farlo e che tutto questo può diventare un'arma in più per battere gli avversari».
Tutto vero, però a Mosca tutto questo non ha funzionato...
«Esatto. Ed è proprio questo che dobbiamo migliorare e che ci portiamo dietro dalla Russia. Dobbiamo avere coraggio, dobbiamo gestire il gioco ma non dobbiamo lasciare spazio e troppo ghiaccio ai nostri rivali; la difesa è comunque fondamentale e la squadra deve sempre essere bilanciata. Ci abbiamo provato, abbiamo creato molto ma concretizzato poco: ecco un'altra cosa che dovremo migliorare, oltre al boxplay».
Sulla decisione presa dalla Federazione, ha pesato anche la tua scelta di puntare sui giovani?
«Onestamente non lo so, non posso dirlo. Ma sono conscio e orgoglioso di aver convocato molti ragazzi alla loro prima esperienza internazionale; ci sono giocatori che in LNA incidono e poi in Nazionale non riescono a giocare il medesimo hockey, come mai? È semplice, serve esperienza».
In effetti trovarsi per la prima volta davanti a giocatori come Ovechkin può lasciare interdetti...
«E non solo! Ti trovi in un contesto unico, particolare e rischi di perderti via. Io ho puntato su ragazzi come Martschini, Haas e Hofmann che erano al loro primo appuntamento iridato; avevamo in rosa anche Andrighetto che, anche grazie all'esperienza maturata oltre Oceano, ha fatto molto bene».
A proposito di esperienza: andando a Zurigo, Pestoni potrà crescere e conquistare così un posto fisso in Nazionale?
«Inti lo conosco molto bene, conosco il suo valore e abbiamo parlato molto. Ad Ambrì era un leader, tutti lo osannavano e così rischi di rilassarti... e secondo me non ha mostrato tutto il suo potenziale proprio per questo motivo. A Zurigo, invece, sarà "uno dei tanti", giocherà in una squadra che punta sempre al top e potrà sviluppare tutte le sue doti che sono ancora nascoste».
Le porte per la maglia rossocrociata quindi restano aperte?
«Assolutamente si. Lui sa in cosa deve migliorare e cosa voglio da lui.