Compito sempre più complicato per gli arbitri ticinesi, spesso confrontati con situazioni molto difficili da gestire
BELLINZONA - Quanto è complicato stare su un rettangolo verde, con un fischietto in bocca e due cartellini in tasca? Il mestiere dell’arbitro, si sa, è uno dei più complicati al mondo, un lavoro in cui si è soli contro tutti. Una decisione, a volte presa in una frazione di secondo, può scatenare un putiferio.
Abbiamo avvicinato un arbitro sopracenerino che, settimanalmente, si reca sui campi da calcio ticinesi ed elvetici per dirigere partite dei campionati giovanili e regionali. Il diretto interessato ha preferito rimanere anonimo.
Fare l'arbitro, si sa, è uno dei mestieri più difficili al mondo...
«Dirigere una partita senza farsi insultare è diventato molto difficile. Ho investito molto tempo e molte energie per arrivare ad arbitrare, ma a volte mi dico "chi me l'ha fatto fare?"».
A volte si legge di attacchi fisici e non solo nei vostri confronti...
«Oggigiorno noi arbitri siamo sempre più confrontati con situazioni poco piacevoli, nelle quali molto spesso la forza psico-mentale di un direttore di gara viene messa a dura prova. A volte si assiste ad alcuni episodi di vera e propria maleducazione».
Hai già avuto paura?
«Paura forse no, ma mi è già capitato molte volte di trovarmi in difficoltà e di dover riportare la calma in campo e sugli spalti».
Ma il problema è principalmente ticinese?
«Mi è capitato molto spesso di varcare il Gottardo per andare ad arbitrare alcune partite. Quello che posso dire è che in Svizzera interna è più piacevole dirigere gli incontri rispetto a quanto accade alle nostre latitudini. La cultura è diversa e una decisione, giusta o sbagliata che sia, viene accettata con più signorilità».
Come ti spieghi questa differenza tra il Ticino e il resto della Svizzera?
«È difficile da dire. In Svizzera interna mi è capitato di terminare la partita ed essere invitato dalla squadra di casa a bere una bibita. Una volta addirittura c’è stata una società che mi ha invitato a fermarmi a mangiare la fondue al formaggio con loro, malgrado non avessi concesso loro un rigore che ai più era parso netto».
Sono maggiormente i giovani oppure i “veterani” a rendersi protagonisti di tale maleducazione?
«Dipende. Ormai non si guarda più nemmeno la categoria nella quale si arbitra, in quanto c'è un crescente aumento di situazioni difficili da gestire un po' su tutti i campi. Spesso a livello giovanile tale maleducazione è causata dal comportamento di quei genitori che ritengono un figlio talmente tanto più forte degli avversari e tanto più importante rispetto al collettivo, creando all’interno di una squadra diverse tensioni che poi molto spesso sfociano in atti di maleducazione».
Credi che la Federazione faccia tutto il possibile per evitare questi brutti episodi?
«Credo e spero di sì. Molto spesso la Federazione ha usato il pugno duro per combattere questo fenomeno, ma a mio avviso esiste ancora margine. Penso ad esempio a delle lunghe squalifiche quando si verificano degli episodi gravi. Bisogna far capire alle persone, e più in particolare ai maleducati, che il calcio va vissuto come uno sport, un momento di condivisione e piacere. Poi ci sta che una decisione arbitrale venga contestata, ma sempre nel rispetto delle parti».