Il calo di competitività del pallone della vicina Penisola? Per Arno Rossini non è solo un problema di soldi...
FIRENZE - Ottime in Patria e modeste in Europa. Le squadre italiane hanno cancellato con un colpo di spugna questa consuetudine, firmando - almeno fino a questo punto - una campagna continentale praticamente perfetta.
In Champions League la Juventus ha fatto il suo, vincendo l’andata degli ottavi di finale contro il Borussia Dortmund. In Europa League è andata anche meglio alle rappresentanti italiane: in cinque hanno affrontato lo scoglio dei sedicesimi di finale e in cinque hanno passato il turno.
Il grande colpo l’ha probabilmente fatto la Fiorentina di Montella, avanti a spese del ricco Tottenham, anche le altre, Torino, Roma, Napoli e Inter hanno in ogni caso strappato applausi e consensi.
La crisi del pallone della vicina Penisola non è dunque tanto profonda come la si dipinge?
“C’è stata una netta inversione di tendenza - ha sottolineato Arno Rossini - questo va ammesso - ma non è tutto ora quel che luccica”.
I “vicini” non devono essere soddisfatti?
“Questo sì, assolutamente. I club “azzurri” hanno fatto benissimo. Le società non sono in ogni caso lo specchio del movimento. Quanti giocatori italiani ci sono tra i titolari delle cinque squadre qualificatesi in Europa League? Non penso si arrivi a quindici”.
Totti, De Rossi, Florenzi, De Sanctis…
“Non tutti giocano sempre. Qualcosa in più può schierare il Torino mentre tra Inter, Fiorentina e Napoli…”.
Ma non fa differenza alla fine. Importante è che si vinca, o no?
“Non proprio. Non per le prospettive di “quel” calcio almeno. A parer mio tali risultati sono dati dalla voglia dei giocatori stranieri che giocano in quelle società. Per loro, per i sudamericani o quelli provenienti dall'est Europa o tutti gli altri, le competizioni internazionali sono una grandissima vetrina. E si impegnano. E danno il massimo. E si mettono in mostra”.
E i club ne traggono giovamento.
“Sì, nell’immediato almeno - ha aggiunto Arno - ma chi si mette in mostra lo fa, poi, per andare via, in qualche altro campionato. Più ricco e prestigioso”.
L’unica squadra della Penisola che è molto italiana è la Juve. Che in Champions non riesce mai a stupire. Nel match contro il Borussia i bianconeri parevano camminare davanti ad avversari che invece filavano come treni.
“Troppa tattica e molto poca intensità negli allenamenti. Lì si sono dimenticati cosa sia l’intensità. È questo il vero problema. In passato in Italia potevano contare su grandi campioni e quindi, quando affrontavano avversarie di altri paesi, vincevano anche senza tenere il piede pigiato sull’acceleratore. Aumentata la competitività degli altri campionati, le squadre italiane hanno visto i loro fenomeni emigrare. Senza qualità e senza intensità hanno così cominciato a faticare”.
La tattica però è sempre di prim’ordine…
“Ma quella da sola non basta per primeggiare. I “vicini” devono assolutamente fare retromarcia e ricominciare a puntare anche sull’intensità. Solo così possono rimanere a galla. Altrimenti il livello del loro pallone continuerà a calare”.
Ora com’è?
“Vi rispondo con un esempio. Guardate Salah. Al Chelsea non vedeva il campo. In Serie A segna a raffica. La differenza tra i due “palcoscenici” è grandissima. Non vi basta? Potrei citarvi anche Shaqiri…”.