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CANTONE9 febbraio, Cassis è sicuro: "Troveremo una soluzione"

03.10.15 - 09:00
Intervista al Consigliere nazionale uscente PLR
Foto Ti-Press Davide Agosta
9 febbraio, Cassis è sicuro: "Troveremo una soluzione"
Intervista al Consigliere nazionale uscente PLR

LUGANO - Ignazio Cassis è membro del parlamento svizzero dal 2011. Medico specializzato in medicina interna, ex Medico Cantonale, è stato vicepresidente dei medici svizzeri FMH dal 2008 al 2012. Consigliere nazionale uscente, in questi anni si è battuto per la modifica della Legge sull'Iva, in particolare sull'eliminazione dell'esenzione del pagamento di questa imposta agli artigiani provenienti dall'estero e per la difesa della lingua italiana.

Lavoro: nel Mendrisiotto c'è una percentuale di frontalieri che supera il 50%. Neppure in Lussemburgo vi è una situazione del genere. Il liberismo abbinato al pragmatismo e all'utilitarismo tipicamente elvetici non rischiano di essere controproducenti per il nostro Cantone?

"La pressione che esiste sul mercato del lavoro ticinese è innegabile, ma questa particolare situazione va considerata nel più ampio contesto federale. Le conseguenze della grave crisi che colpisce le vicine province italiane, storicamente tra i motori dell’economia europea, sono una particolarità ticinese. A Berna lavoriamo costantemente per sensibilizzare i nostri colleghi confederati sulla situazione particolare nelle regioni di frontiera. Abbiamo proposto varie misure per rafforzare il federalismo e consentire ai Cantoni di attuare le soluzioni più rispettose delle loro particolarità, come le cosiddette “misure fiancheggiatrici”, preziose per il Ticino".

Si dice che l'economia ticinese sia diventata più ricca dall'entrata in vigore degli accordi bilaterali. Questa ricchezza come è stata distribuita? I ticinesi sono più ricchi di prima?

"I dati a disposizione indicano effettivamente che la ricchezza in Ticino ha seguito il trend nazionale: negli anni ’80 il PIL ha registrato in TI una crescita annua del 2%, rallentando allo 0,6 % negli anni ’90 (dopo il no allo spazio economico europeo), per poi riprendersi (+1.8%/anno) con l’entrata in vigore dei bilaterali nel 2002. Credo però che sia riduttivo misurare la ricchezza solo in termini monetari. Gli accordi bilaterali hanno permesso di stimolare ambiti chiave quali, ad esempio, la ricerca e lo sviluppo, la formazione universitaria, il commercio di beni e servizi. Una migliore messa in rete permette infatti di innovare e consente alla Svizzera di mantenere il suo posto tra i paesi più competitivi al mondo, generando ricchezza e garantendo un’elevata qualità della vita".

Franco forte. Nonostante l'allarme lanciato dal settore industriale, dal turismo e dalla vendita al dettaglio, gli studi di ricerca parlano di economia svizzera che tiene e cresce. Tanto rumore per nulla?

"Siamo certamente messi meglio dei Paesi che ci circondano, basta uscire dalla Svizzera per vederlo. La prosperità creata negli ultimi 50 anni offre una buona resistenza alle crisi, ma non è una garanzia illimitata. Sono dunque giustificati gli allarmi lanciati dai vari settori menzionati. La Svizzera ha un’economia molto aperta, un terzo dei posti di lavoro dipende dalle esportazioni, messe a dura prova dalla crisi valutaria franco-euro. La tendenza preoccupa: dobbiamo affrontare grossi problemi come la crescente deindustrializzazione, l’uscita dal nucleare, il costo della rete sociale (in particolare pensioni e sanità). Dopo 40 anni di “vacche grasse”, siamo oggi chiamati a una maggior moderazione e dobbiamo imparare ad assumere maggiori responsabilità individuali".

Il 9 febbraio 2014 gli svizzeri hanno messo in discussione la politica del Consiglio federale in materia di migrazione. Come se ne esce?

"Il popolo svizzero ha lanciato un grido d’allarme, percependo una crescita demografica non sostenibile e temendo un’eccessiva pressione sul mercato del lavoro. Dobbiamo ora agire in modo chirurgico, trovando la miglior soluzione nel delicato equilibrio tra apertura e protezione interna. L’apertura è indispensabile alla prosperità, la protezione interna all’identità e alla sicurezza. Non è la prima volta che la Svizzera è confrontata a una situazione difficile: troveremo la soluzione!"

I premi della cassa malati aumentano ancora. Fino a quando reggerà questo sistema?

"I premi di cassa malati seguono direttamente i costi della salute. Per stabilizzare i premi dobbiamo stabilizzare i costi e per stabilizzare i costi dovremmo contenere il “consumo” di prestazioni presso medici, farmacie, fisioterapia, laboratorio, ospedali, ecc. Ma ogni volta che simili proposte giungono in votazione, il popolo le respinge (vedi votazione popolare del 2012 sulle cure integrate). Ogni anno i costi crescono di circa 2 miliardi di franchi, ma non siamo pronti a limitare l’accesso alle prestazioni e nemmeno vogliamo bloccare le assunzioni di personale in ospedali e centri sanitari, tantomeno bloccare salari e redditi. Dunque il sistema reggerà fino a quando saremo disposti a pagarci la libertà e la qualità che abbiamo oggi".

La Svizzera è risparmiata dal grande flusso di migranti in cerca di rifugio e prospettive di vita migliori. Ritiene necessario potenziare i controlli ai confini?

"Sono favorevole al potenziamento del corpo delle guardie di confine. E se fossimo minacciati alle frontiere da flussi migratori non gestibili con l’organizzazione regolare (guardie di confine e polizie cantonali) sono favorevole a uno stretto controllo dei confini, anche tramite l’esercito. Ma oggi non è fortunatamente il caso".

La politica energetica è abbastanza o troppo coraggiosa?

"Direi troppo coraggiosa, quasi spregiudicata. Siamo talmente certi di ottenere corrente infilando una presa nel muro, che fatichiamo a immaginarci una penuria di energia. Ma garantire la produzione e la distribuzione di energia non è una banalità. L’uscita dal nucleare in seguito all’incidente di Fukushima è stata precipitosa e la strada da seguire ora è ancora molto confusa. A mio giudizio una simile decisione di principio dovrebbe competere al popolo, ma una votazione popolare ancora non c’è stata".

Finanziamenti ai partiti poco trasparenti, rappresentanti del popolo al servizio delle lobby dei potenti dell'economia. Come rispondere a queste accuse?

"I partiti sono le famiglie politiche, senza le quali la democrazia non funzionerebbe. In Svizzera è intoccabile il principio della milizia: molto lavoro è svolto senza remunerazione anche nei partiti.  Diversamente dai paesi che ci circondano non si prelevano soldi dalle tasche dei cittadini per finanziare i partiti, e ciò è un bene. I partiti si sono autoregolati, per evitare che finanziamenti troppo importanti potrebbero diminuirne la libertà d’azione. Il nostro resta un buon sistema: nel paragone internazionale la Svizzera emerge per la bassa corruzione.

Medesimo discorso per i rappresentanti del popolo, parlamentari di milizia. Ognuno di noi è legato ad associazioni che rappresentano interessi di parte della popolazione: le cosiddette lobby. La lobby più potente è quella dei contadini, poi vi sono poi le lobby degli ambienti economici o di specifici settori industriali. Le piccole-medie imprese hanno la loro lobby, così come le libere professioni (medici, avvocati, architetti, ecc.). Ci sono poi le lobby degli ambientalisti (WWF, greenpeace e Pro Natura), quelle dei sindacati (USS, UNIA e TravailSuisse) e quelle dei consumatori e dei pazienti. Non manca nemmeno la lobby degli inquilini (Associazione svizzera inquilini), quella delle persone con handicap (Integration Handicap), la lobby degli ospedali (Hplus) e quella dei giardinieri. C’è addirittura la lobby dei lobbisti per mestiere (SPAG-SSPA). Tutte le lobby hanno lo stesso obiettivo: creare e mantenere vantaggi per i loro affiliati. La somme di tutte le lobby copre praticamente tutta la popolazione. La ripartizione dei parlamentari in tutte queste lobby crea il legame tra il parlamento e il cittadino".

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