Cerca e trova immobili

CANTONEPiazza finanziaria e accordo con l'Italia

28.03.15 - 06:00
Natalia Ferrara Micocci, avvocato, candidata PLRT al Consiglio di Stato
Foto Ti-Press
Piazza finanziaria e accordo con l'Italia
Natalia Ferrara Micocci, avvocato, candidata PLRT al Consiglio di Stato

Volendo riprendere una frase celebre, un dilemma si aggira per la piazza finanziaria ticinese: come uscire dalla fase del denaro italiano non dichiarato senza né perdere troppi patrimoni in gestione né finire davanti alla giustizia penale italiana o svizzera. Riciclaggio, autoriciclaggio, voluntary disclosure, assistenza internazionale penale e fiscale, scambio automatico, sono le parole del momento. Senza dimenticare che, pochi mesi fa, eravamo in piena fase FATCA, ovvero alle prese con il fisco degli Stati Uniti, quello meglio attrezzato del mondo. Il risultato? Chi conosce la situazione sa che siamo in pratica alla paralisi delle attività nel timore di commettere errori. Migliaia di persone (nelle banche, fiduciarie, consulenti, gestori e attività connesse) vivono in una pericolosa e per noi del tutto inedita fase di incertezza persino giuridica, dove è tra l’altro facile commettere errori o farsi tentare da operazioni rischiose per il patrimonio e/o per la fedina penale.

Si parla, anche da parte degli operatori del settore, di una fase di “cambio di paradigma”, di “riposizionamento strategico” oppure si teme per il “futuro” della piazza. Tutto vero, e tanto di cappello a chi sta lavorando al futuro. Ma non dobbiamo nasconderci la situazione attuale. Quando la Banca Nazionale ha lasciato libero il corso del franco, tutti hanno visto il problema. Ora che le nuove leggi italiane e svizzere hanno in pratica trasformato i patrimoni non dichiarati da “averi” da gestire in “refurtive” da cui guardarsi, molti, e non solo a Berna, faticano a capire cosa succeda a Lugano. Come se non sapessero dove si amministrava il denaro “nero” di tanti contribuenti italiani non rispettosi delle loro leggi, giuste o sbagliate che fossero. Colmo dell’ipocrisia, sui guadagni miliardari via via conseguiti tramite la gestione di questi averi, sono state incassate, in Svizzera, imposte, tasse e contributi che andavano benone a tutti. Le maggiori strutture, ovvero le grandi banche, possono gestire il “case Italy” con le risorse di chi guarda ai patrimonio italiani “off-shore” con il distacco di un operatore a livello globale, per i medi e piccoli attori la condizione è ben diversa. Dover rinunciare al 3% delle proprie attività non è esattamente come dover abbandonarne l’80 o il 90%. Di fronte alla situazione attuale, l’urgenza è evitare che i prossimi mesi passino all’insegna del “si salvi chi può” oppure che tutto si decida nei Palazzi di Giustizia.

Ho il massimo rispetto per la giustizia penale, che è stata il mio lavoro per alcuni anni e alla quale dobbiamo, ricordiamolo, il fatto che la Svizzera sia da tempo in prima fila nella lotta al denaro di origine criminale. Non credo però che spetti prioritariamente ai singoli Magistrati dettare le condizioni di un passaggio della vita economica che non è un fatto “criminale” ma una transizione “storica”. La giustizia è una cosa sacra, il giustizialismo tutt’altro. I reati sono i reati, non si scappa, ma decenni di attività della piazza finanziaria non possono essere letti come una somma di reati. E non parlo solo di Lugano: forse che a Zurigo, Basilea o Ginevra capitali non dichiarati non ce ne sono mai stati? E’ essenziale, ad esempio, che il cosiddetto principio di “non retroattività” sia rispettato sul serio. Ciò che, in Svizzera, è stato lecito fino a ieri, giusto o sbagliato da un punto di vista etico, non può essere punito retroattivamente, né in Svizzera né all’estero tramite il nostro aiuto. Quest’ultimo è un punto molto delicato, per ragioni giuridiche che non è qui il caso di menzionare. Si potrebbe arrivare alla paradossale situazione di fornire all’Italia prove di atti di riciclaggio che, quando sono stati commessi in Svizzera, nel nostro Paese non erano punibili.

C’è da sperare che i nostri Tribunali si dimostrino sensibili a questo tema, sennò otterremmo il classico massimo del diritto e minimo della giustizia. Se qualcuno, a Berna, ci avesse pensato per tempo, forse qualcosa si sarebbe potuto fare. Adesso temo sia tardi, a meno che, nell’ambito dei negoziati con l’Italia, ancora in corso, il Ticino, che pare potrà essere rappresentato, faccia presente non solo le necessità economiche, ma, soprattutto, quelle giuridiche per tutelare i nostri intermediari finanziari.

Teniamo presente che in Ticino, senza contare fiduciari, consulenti, e attività connesse, i dipendenti di banca sono oltre 6'000 (oltre 7'000 tenendo conto dei dipendenti delle società partecipate).

Ecco, oggi come oggi, non vi è nessuna garanzia che non verranno perseguiti penalmente in Italia. Purtroppo il loro destino è legato a doppio filo alla decisione dei clienti, perché se questi ultimi aderiranno alla voluntary disclosure allora si potrà contare su una sorta di generica benevolenza delle Autorità italiane. In caso contrario, si diventerà complici di quei clienti, correndo il rischio di essere perseguiti per il titolo di reato di riciclaggio. Si aggiunga che la voluntary disclosure italiana non esclude affatto molti dei reati italiani sovente connessi con la creazione di fondi “neri” all’estero. Il che tratterrà molti dall’autodenuncia, con tutte le conseguenze di rischio per gli intermediari svizzeri.

In effetti, ad oggi, non è affatto chiaro quale trattamento verrà riservato ai nostri intermediari finanziari, né è previsto l’intervento di Magistrati nei gruppi di lavoro legati ai negoziati, ancorché lo stesso Vieri Ceriani, negoziatore per l’Italia, abbia ammesso la difficoltà di conciliare le normative vigenti nei due Paesi con le conseguenze dell’obbligatorietà dell’azione penale. Altrimenti detto, se un Pubblico Ministero italiano decidesse di aprire un procedimento penale a carico di un istituto bancario elvetico, di un funzionario o di un fiduciario, nessuno potrebbe impedirglielo. Anzi, la Svizzera gli dovrebbe prestare assistenza giudiziaria.

E a quel punto, l'Italia non avrebbe solo fatto rientrare i capitali non dichiarati ma anche fatto uscire dal mercato gli intermediari svizzeri che, rispettando le nostre leggi, li avevano gestiti.

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE