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ATTUALITÀ SETTIMANALEIl rovescio della medaglia dell'iper-attivismo Fed

14.10.14 - 12:03
Il consueto appuntamento con l'attualità settimanale di BSI
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Il rovescio della medaglia dell'iper-attivismo Fed
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La settimana scorsa il verbale della riunione del FOMC ha dimostrato, ancora una volta, che gli investitori azionari si sono ormai assuefatti alle iniezioni di liquidità della Fed (ci scusiamo per l’involontario gioco di parole). Ormai i titoli azionari mettono a segno nuovi guadagni solo in presenza di notizie che segnalano che la Yellen non alzerà «mai» i tassi d’interesse... tanto che paradossalmente molto spesso notizie economiche negative diventano positive in quanto confermano la credenza diffusa che la Fed dovrà mantenere un orientamento espansivo che continuerà a sostenere indefinitamente tutte le classi di attivi. Ciò crea notevoli rischi, poiché distorce i prezzi degli attivi e favorisce gli speculatori a scapito degli investitori di lungo termine.

 

Per la politica monetaria uno dei maggiori problemi è che in assenza di restrizioni sugli strumenti di intervento sui mercati creditizi la legittimità della banca centrale rischia di venire meno. Dal 2009 ad oggi la Fed ha acquistato 1.700.000 milioni di dollari di titoli garantiti da ipoteche sottoscritti da Fannie Mae e Freddie Mac, due enti ipotecari oggi in amministrazione controllata statale. I prestiti immobiliari sono stati la causa della crisi finanziaria, e la Fed aveva cominciato ad acquistare questi attivi agli inizi del 2009 per assicurare la stabilità del sistema di finanziamento dei mutui per la casa. I mercati ipotecari si sono in seguito parzialmente stabilizzati ma gli acquisti della banca centrale sono ricominciati, toccando un valore complessivo di oltre 800 miliardi di dollari dal settembre del 2012 a oggi.

 

Alcuni operatori dubitavano della necessità di questi acquisti di attivi ipotecari già nel 2009, ritenendo che la Fed avrebbe potuto raggiungere lo stesso obiettivo limitando i propri acquisti ai Treasury. Ora che (forse) la Fed sta pensando di portare i tassi di riferimento su livelli più normali, il processo di normalizzazione dovrebbe comprendere la vendita di questi attivi a un ritmo prevedibile, per minimizzare gli impatti distorsivi sui mercati creditizi. Tuttavia, la recente dichiarazione del FOMC sui principi della normalizzazione non contempla alcun piano di questo tipo. Il volume di titoli MBS detenuti dalla Fed è ben superiore a quello necessario ai fini della politica monetaria, anche con tassi d’interesse prossimi allo zero.

 

L’elemento essenziale per l’autonomia operativa di una banca centrale è la sua capacità di gestire il livello della liquidità erogata, ovvero le passività monetarie nel suo bilancio. Come ogni bilancio anche questo si compone di due colonne, ed è la colonna degli attivi che può creare problemi. Quando la Fed acquista Treasury gli impatti per i tassi d’interesse si ripercuotono uniformemente su tutti i mutuatari privati, dato che tutti i mercati creditizi sono in definitiva legati ai rendimenti privi dei rischio dei titoli di Stato USA. Tuttavia, quando la Fed acquista attivi di emittenti privati finisce per favorire alcuni mutuatari a scapito di altri, e ciò influisce sull’allocazione del credito. Interferire nell’allocazione del credito significa utilizzare in modo inappropriato il portafoglio di attivi della banca centrale. Non è necessario ai fini della conduzione della politica monetaria e comporta scelte distributive che dovrebbero essere effettuate tramite un processo democratico e attuate dalle autorità fiscali. Sebbene l’indipendenza di una banca centrale sia d’importanza vitale per garantire la stabilità monetaria, in assenza di chiari confini potrebbe finire per creare instabilità politica ed economica. Le azioni delle banche centrali che alterano l’allocazione del credito minano tali confini e quindi la stabilità.

 

Le relative conseguenze per la realtà odierna sono che le prassi della Fed (debitamente copiate dalle altre grandi banche centrali) stanno creando gravi distorsioni sui prezzi di mercato (relativi). Gli investitori dell’economia reale sono consapevoli di questo rischio e delle incertezze intrinseche che queste politiche hanno creato nel processo di formazione dei prezzi dei mercati capitali. Se i prezzi di mercato non sono in grado di segnalare agli imprenditori quali sono i settori (eventualmente) più interessanti, non ci si deve stupire che le banche risentano di una domanda di credito molto bassa e che la quota più consistente di tali prestiti sia utilizzata per finanziare iniziative di “attivismo” aziendale (acquisti di azioni proprie e operazioni di M&A). È per questo che la crescita degli investimenti reali non riesce a decollare e produttività e crescita economica languono. Ciò ha generato il fenomeno forse più inspiegabile dell’anomalo ciclo economico attuale, rappresentato dall’output gap, ovvero la differenza tra il PIL reale e quello potenziale. Questo indicatore del ciclo economico è negativo ormai da tempo straordinariamente lungo (mentre il governo statunitense ha continuato a tagliare le stime ufficiali sul PIL potenziale), il che segnala che il periodo successivo al 2007 si sta trasformando in un’anomalia economica.

 

Queste tesi, e i costanti declassamenti delle previsioni di crescita economica degli organi internazionali, fanno aumentare il rischio che stia per iniziare una fase di stagnazione di lungo termine...

 

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