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MONDOTurbolenze sui mercati all'inizio del 2016: déjà vu?

13.01.16 - 09:35
L'attualità di BSI con Gianluigi Mandruzzato, Macro&Fixed Income Analyst BSI
Turbolenze sui mercati all'inizio del 2016: déjà vu?
L'attualità di BSI con Gianluigi Mandruzzato, Macro&Fixed Income Analyst BSI

Avvio del 2016 turbolento per gli attivi più rischiosi, che prosegue nel solco della forte volatilità riscontrata nella seconda metà del 2015. Alcune delle cause dell'ondata di vendite sono le stesse dell'estate scorsa: l'incertezza riguardante le prospettive economiche e la stabilità finanziaria della Cina, con ripercussioni sulle previsioni economiche mondiali; il crollo dei prezzi delle materie prime; e rischi geopolitici tuttora elevati.

Un cocktail fatale per le attività di rischio e che dà adito a timori deflazionistici, i quali giocano a favore delle obbligazioni di alta qualità. Analogamente a quanto accaduto in estate, pensiamo che gli attuali movimenti dei corsi azionari siano eccessivi, ma sconsigliamo di cedere alla tentazione di afferrare un coltello che cade, come sembra il caso per i mercati azionari.

L'inquietudine provocata dalla decisione, comunicata in maniera pessima, della PBoC (la banca centrale cinese) di rendere il meccanismo di cambio dello yuan più flessibile dell'agosto scorso finì col pesare negativamente sui mercati per settimane, determinando una correzione che su alcune piazze ha toccato punte del 20%. Potremmo essere alle porte di una nuova fase di marcata avversione al rischio: dall'inizio dell'anno la PBoC ha lasciato che lo yuan cedesse circa l'1,5% nei confronti dello USD, raggiungendo i minimi da diversi anni a questa parte, mentre l'azionario cinese ha subito enormi pressioni alla vendita. Una mossa difficile da interpretare per i mercati. Purtroppo, le due “spiegazioni” più immediate sono entrambe negative per il sentiment degli investitori.

Il deprezzamento dello yuan potrebbe essere un segno che Pechino ha gettato la spugna e concluso che serve una valuta più debole per contrastare il rallentamento dell'attività economica: uno scenario preoccupante per la congiuntura globale e i mercati, poiché la crescita della Cina andrebbe a scapito dello sviluppo e degli utili in altre parti del mondo. In alternativa, le pressioni ribassiste sullo yuan potrebbero riflettere un'accelerazione della fuga di capitali dal paese sfuggita al controllo delle autorità. Una situazione che potrebbe eventualmente diminuire la credibilità della nomenclatura cinese, costringendola a fare marcia indietro sulle riforme strutturali annunciate, prima tra tutte la piena convertibilità dello yuan e la liberalizzazione dei movimenti di capitale.

 


Sebbene entrambe le interpretazioni abbiano un fondamento, a nostro avviso il nodo della questione è l'opacità da parte dei vertici cinesi, nonché la scarsa fiducia degli operatori occidentali nelle informazioni provenienti dal gigante asiatico e la loro limitata comprensione delle dinamiche interne al paese. Com'è noto, quando gli investitori sentono di non avere un quadro chiaro della situazione, preferiscono mantenersi ai margini e lasciare che le acque si calmino.

Questo spiega il calo di tutte le classi di attivi che dipendono da prospettive di crescita mondiali favorevoli. Le materie prime e le relative attività sono le prime a essere colpite, con l'unica eccezione dell'oro grazie al suo status di bene rifugio. Ad accentuare il ribasso dei prezzi petroliferi è anche il considerevole eccesso di offerta sui mercati fisici, frutto della priorità assegnata dai membri dell'OPEC, e in particolare l'Arabia Saudita, alla difesa della propria quota di mercato a tutti i costi. La debolezza delle commodities si è ripercossa pesantemente sulle azioni e le valute dei paesi emergenti nonché le divise di paesi industrializzati con una forte dipendenza dalle materie prime, come il dollaro canadese, e le obbligazioni statunitensi ad alto rendimento. Infine, il tracollo dei prezzi delle commodities è considerato un indizio di crescita modesta, a prescindere dal fatto che la domanda per alcune di esse (è il caso ancora una volta del petrolio) è stata rivista significativamente al rialzo nel corso degli ultimi mesi.

Come se non bastasse, tutt'altro che d'aiuto sono state le notizie riguardanti i rischi geopolitici, con i crescenti attriti tra l'Arabia Saudita e l'Iran a esacerbare le tensioni di fondo in Medio Oriente e l'annuncio da parte della Corea del Nord di un collaudo apparentemente riuscito di una bomba all'idrogeno a portare inopportunamente alla luce le frizioni latenti in Asia.

A riprova del fatto che l'attuale correzione del mercato è dettata dal sentiment, due divise di finanziamento quali l'euro e lo yen si stanno rafforzando, come avviene solitamente quando si liquidano posizioni lunghe su attivi di rischio.

Quanto ai potenziali pericoli per l'economia mondiale derivanti dalla Cina, ci teniamo a sottolineare che, nonostante alcuni dati non brillanti sul settore manifatturiero e il commercio internazionale, gli Stati Uniti sembrano rimanere su un percorso di crescita sostenibile, ancorché contenuta. Prova ne è il forte andamento dell'occupazione nel settore privato (292mila posti di lavoro creati a dicembre). Le vendite sugli altri mercati, dalla UEM al Giappone, sembrano contraddire i dati ragionevolmente robusti in entrambe le aree, dagli indici PMI agli ordinativi dell'industria in Germania. Non da ultimo, anche gli ultimi deludenti dati cinesi non sono tali da ritenere che l'economia sia prossima a un brusco rallentamento e stentano a giustificare il collasso dei mercati azionari del dragone asiatico.

Per concludere, esattamente come in agosto, le perplessità riguardanti la Cina si sono intrecciate con sviluppi geopolitici sfavorevoli, determinando un circolo vizioso di pessimismo circa i mercati emergenti e le materie prime, crescenti timori deflazionistici su scala mondiale e un'avversione al rischio generalizzata. Restiamo fiduciosi che le autorità sapranno rispondere adeguatamente in modo da mitigare i rischi per la congiuntura globale, il che dovrebbe riaccendere la propensione al rischio. Permangono però incertezze sui tempi di una tale svolta.

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