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Lunedì 30 novembre, a Le Bourget, in Francia, si è aperta la Conferenza Parigi 2015 sul Clima, nota anche come COP21. Lo scopo della conferenza, la ventunesima dalla decisione del 1992 di istituire la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC), è quello di raggiungere un accordo giuridicamente vincolante su come affrontare e reagire ai cambiamenti climatici dopo il 2020, dato che gli attuali impegni sulle emissioni di gas serra giungeranno a scadenza alla fine del decennio. Inoltre, ci si attende un accordo ambizioso, con regole chiare e meccanismi obbligati per migliorare la convergenza tra finanza pubblica e privata.
Temiamo che tali obiettivi non saranno raggiunti completamente, tuttavia, la conferenza di Parigi è già una pietra miliare importante.
Mentre la comunità scientifica è convinta che il cambiamento climatico sia dovuto al comportamento dell’uomo, l’opinione pubblica resta leggermente più scettica. Una spiegazione possibile può essere offerta da una recente ricerca pubblicata dall'Università di Yale sulla rivista “Proceeding of the National Academy of Sciences”, che sottolinea come alcune società hanno utilizzato il loro denaro per amplificare le opinioni contrarie e creare l’impressione di una maggiore incertezza scientifica.
Nonostante segni una data importante, la conferenza di Parigi, tuttavia, non è soltanto rose e
fiori. In primo luogo, temiamo sia difficile raggiungere un trattato giuridicamente vincolante. In secondo luogo, è importante sottolineare che l’attuale tendenza delle emissioni, il nostro Business as Usual (BAU), è compatibile con un innalzamento della temperatura di quasi 4/5°C entro la fine del secolo che determinerebbe un ambiente climatico del tutto inesplorato per il genere umano. Anche se pensiamo che gli INDC siano un primo passo positivo, poiché consentono di attribuire le responsabilità in modo chiaro, non sono sufficienti per restare al di sotto del target di 2°C. Inoltre, essi coprono soltanto il periodo compreso tra il 2020 e il 2030 e contengono obiettivi condizionati legati alle previsioni del PIL e al finanziamento internazionale, molto difficili da valutare. Nella migliore delle ipotesi, gli INDC implicano una riduzione che si ferma a metà strada rispetto agli obiettivi.
Tuttavia, pensiamo che la conferenza possa ottenere un risultato molto positivo se riuscirà a definire un meccanismo per attribuire obiettivi e obblighi chiari e sostenere il ruolo degli investimenti nelle infrastrutture e dei finanziamenti internazionali. Questi obiettivi devono essere dinamici e aperti a ulteriori adeguamenti. Infine, pensiamo che il successo della conferenza sarà giudicato dalla sua capacità di mantenere e incrementare l’attenzione intorno al cambiamento climatico, destando una maggiore consapevolezza nella comunità finanziaria sul fatto che, alla fine, le emissioni di CO2 avranno un costo.
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