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ATTUALITÀ SETTIMANALEHong Kong: crescenti problemi di assestamento nel rapporto con la Cina

28.10.14 - 10:26
Janak Nabar and Julian Wee, Regional Investment Strategy, BSI Singapore
Hong Kong: crescenti problemi di assestamento nel rapporto con la Cina
Janak Nabar and Julian Wee, Regional Investment Strategy, BSI Singapore

Le proteste che ormai da vario tempo agitano Hong Kong riguardano la natura e le modalità delle elezioni che si terranno nel 2017, e mirano a ottenere il diritto al suffragio universale. Pur essendo probabilmente le più ampie ed estese, non sono che l’ultima manifestazione delle tensioni che da tempo affliggono i rapporti tra la Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong (HKSAR) e Pechino. Anche se è probabile che i dissapori continueranno a covare sotto la cenere anche in caso di una temporanea soluzione dell’impasse, Pechino non può non essere consapevole della straordinaria importanza di Hong Kong, e pertanto preferirà procedere con cautela.

Il motivo per cui sono scoppiate le ultime proteste (organizzate dal movimento «Occupy Central») è che i candidati alle elezioni del 2017 alla carica di Chief Executive (il capo del Governo locale) dovranno ottenere il previo nulla osta di Pechino. Attualmente il Chief Executive è eletto da un collegio di 1200 membri dell’organo legislativo, generalmente considerati allineati alle posizioni del PCC. L’attuale Chief Executive, CY Leung, è stato eletto nel 2012 con un’esigua maggioranza di 689 voti. La fragilità politica di tale nomina è stata acuita dalla diffusa impressione che l’amministrazione Leung abbia seguito le direttive del partito centrale, il che non ha fatto che alimentare le tensioni che serpeggiano sin dal trasferimento della sovranità alla Cina il 1o luglio 1997. Da allora, ogni primo luglio sono state organizzate marce di protesta per ottenere il suffragio universale ma la partecipazione popolare a queste manifestazioni ha raggiunto livelli elevati solo dal 2003, anno in cui l’opposizione a una controversa legge sulla sicurezza e l’insofferenza nei confronti dell’amministrazione del precedente Chief Executive Tung Chee-hwa ha polarizzato l’opinione pubblica. Tung si è poi dimesso nel 2005, ufficialmente per motivi di salute.

Sebbene il movimento Occupy Central e l’amministrazione attuale sembrino aver raggiunto una situazione di stallo irrisolvibile, hanno entrambe ottimi motivi per non esacerbare il conflitto. Il movimento Occupy sembra essere consapevole del fatto che un numero non indifferente di cittadini è apertamente contrario alle proteste. Un sondaggio condotto ai primi di ottobre da un’università locale ha rilevato che i manifestanti hanno il sostegno di circa il 38% della popolazione locale, mentre il 36% circa è contrario, e ciò a dispetto del forte aumento della popolarità del movimento. Il protrarsi delle agitazioni, o una loro degenerazione in violenza, potrebbe danneggiare ulteriormente l’economia che già da qualche trimestre è in rallentamento. Nel secondo trimestre il PIL è cresciuto dell’1,8% su base annua, e sia la domanda interna che le esportazioni sono state deludenti. Il tasso di disoccupazione è salito negli ultimi mesi ,passando dal 3,1% al 3,3% su base destagionalizzata. Le vendite al dettaglio continuano a languire, anche a causa del calo della spesa turistica probabilmente legato alle misure anticorruzione introdotte in Cina, sebbene per il momento il numero di turisti non sembra essere sceso. Il rischio che le incessanti proteste possano scoraggiare il turismo continua però a pesare sulle prospettive dell’economia.

Anche se l’ultima cosa che Pechino desidera è che il movimento Occupy possa servire da incoraggiamento a rivendicazioni in altri territori critici, è probabilmente consapevole dell’enorme importanza del mercato di Hong Kong, non solo in quanto centro finanziario regionale con una robusta reputazione di corporate governance ed eccellenti rating, ma proprio per la sua relativa autonomia, che ne fa una meta interessante per gli imprenditori espatriati dalla Cina. Poiché la Borsa di Hong Kong è molto più ampia e sofisticata delle piazze continentali e consente di accedere più agevolmente ai mercati dei capitali internazionali, costituisce anche un buon banco di prova per le società cinesi che se ne servono per quotazioni o emissioni obbligazionarie. In vista delle imminenti riforme bancarie in Cina, Hong Kong potrebbe assumere un’importanza anche maggiore come fonte di esperienza e capitali. Almeno per il momento, Hong Kong è quindi assolutamente indispensabile alla Cina.

L’assetto “un Paese, due sistemi” era inevitabilmente destinato a creare problemi prima o poi, in particolare viste le diverse esperienze dell’isola e della madrepatria. Tuttavia, entrambe hanno goduto, e continueranno probabilmente a godere, di reciproci vantaggi. Le riforme strutturali cinesi dovranno in qualche modo tenere conto dell’evoluzione del rapporto con la regione autonoma e le ultime proteste vanno quindi considerate come una fase di transizione all’interno di un processo di lungo termine.

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