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LOCARNOAndrea Bocelli e la ricerca della bellezza

28.05.14 - 07:22
In previsione del concerto che terrà in Piazza Grande il 7 giugno, il tenore si racconta…
Foto Cover Media
Andrea Bocelli e la ricerca della bellezza
In previsione del concerto che terrà in Piazza Grande il 7 giugno, il tenore si racconta…

LOCARNO - Andrea Bocelli, come è avvenuta la scelta dei brani (“Strangers In The Night”, “Senza fine” e tanti altri) che ha reinterpretato in “Passione” (Sugar Music, gennaio 2013)?
"Credo sia corretto dire che “Passione” è un album che mi somiglia molto: è raro che io mi senta così legato a un progetto pop...  Il contenuto del nuovo disco mi è caro, come artista e come uomo, perché nasce dalla ricerca della bellezza... Ho voluto riunire l’assortimento più significativo di quei momenti musicali che hanno accompagnato la mia giovinezza, quando, diciottenne, mi sono avvicinato a questo repertorio, suonando nei piano-bar. Da queste canzoni che commuovono ancora oggi, da questi brani internazionali divenuti ormai dei classici, ho iniziato. Per me ogni canzone presente nell’album ha un significato speciale. Insieme all’amico e collega David Foster (produttore e arrangiatore col quale ho condiviso tante avventure musicali) ho selezionato inizialmente più di ottanta canzoni. Dopo lunghe e in un certo senso dolorose scremature, in scaletta sono rimasti solo i brani che in assoluto amo di più.   Nei miei concerti e nei miei dischi d’altronde, per poter interpretare in modo convincente una pagina di musica, devo prima innamorarmene..."

Mi può raccontare, in particolare, la scelta di “Champagne”, di “Love Me Tender” e di “Malafemmena”? Ricorda quando ha avuto modo di ascoltarle per la prima volta?
"Da ragazzo, come già accennato, suonavo nei locali. Accadeva dal martedì alla domenica, senza interruzione, e ogni sera qualcuno mi chiedeva di cantare pagine quali appunto “Love Me Tender” o “Malafemmena”, e spesso capitava che qualche ragazza intonata si avvicinasse al piano chiedendo di poter cantare con me... Allora, iniziavo a suonare “La vie en rose” o “Champagne”...
Se si scorrono i titoli del progetto “Passione” e di “Love in Portofino” (Sugar Music, ottobre 2013) si può notare come ci sia la volontà di offrire da un lato brani notissimi - qui proposti in una versione rinnovata, incisa con tipologie e qualità sonore aggiornate alla tecnologia del nuovo millennio - e dall’altro pagine che in Italia sono dei “classici”, ma che altrove possono sovente suonare persino come assolute novità".

Nel disco, tra gli altri, ha ospitato Jennifer Lopez e Nelly Furtado. Come sono nate queste due collaborazioni?
"Eravamo alla ricerca proprio di quei tipi di vocalità, per due “classici” quali “Quisaz, Quisaz, Quisaz” e “Corcovado”, e sono molto soddisfatto dell’alchimia sortita dal mescolare, alla mia, le voci di due interpreti eccezionali, brave e belle. Jennifer è un’artista poliedrica che esprime grande energia e fascino, e lo stesso vale per Nelly: entrambe hanno tornito di sensualità i due brani, offrendone una versione molto intensa, seducente, carismatica".
 
All’interno dell’album, ha messo a punto un duetto virtuale con Edith Piaf. Perché questa scelta? Quali le sue sensazioni interpretandolo e riascoltandolo?
"È stato David Foster ad aver avuto la bella intuizione di raccogliere una voce ormai consegnata al mito e farla rivivere grazie alla tecnologia in un duetto contemporaneo. È stato un vero “coup de théâtre”... Cantare questo brano mi emoziona ogni volta: è come se Edith Piaf tornasse per un momento fra noi, oltre mezzo secolo dopo averci lasciato. Affrontare “La Vie en Rose” è un “sogno impossibile” divenuto magicamente realtà".

Un duetto virtuale avrebbe potuto prendere forma in più occasioni all’interno dell’album, come, per esempio, con Elvis Presley in “Love Me Tender” oppure con Fred Buscaglione in “Love In Portofino”…
"Sono in molti i grandi interpreti del passato che il mio album evoca, e l’operazione fatta con “La Vie en Rose”,  poteva senz’altro essere applicata ad altre canzoni. Ma non abbiamo voluto dilatare troppo questo tipo di esperienza per motivi d’equilibrio. E, rispetto agli interpreti da lei citati, abbiamo preferito affiancare la mia voce a un timbro femminile, e in particolare all’inimitabile vocalità della Piaf".

A Locarno, il 7 giugno, condividerà il palco con l’Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro. Cosa può anticipare al pubblico ticinese che assisterà al suo concerto?
"Oltre a romanze popolari della tradizione napoletana e canzoni tratte da miei album più datati, interpreterò anche brani tratti da “Passione” e da “Love in Portofino” (Sugar Music, ottobre 2013). Ma tengo molto alla prima parte del concerto, squisitamente classica: un affondo nell’Ottocento lirico, italiano e francese, con pagine celeberrime di Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Charles Gounod e Georges Bizet..."

Che rapporto ha con il Canton Ticino?
"So bene come la vostra terra custodisca vere e proprie meraviglie paesaggistiche e architettoniche: lo splendore delle Alpi, il lago e la sua poesia, i castelli... Devo dire che il clima accogliente e intimo che percepisco in Ticino mi ricorda molto, pur nelle diverse specificità, la pace che respiro tra le mie colline, in Toscana..." 

Quali suggerimenti si sente di fornire agli allievi del Conservatorio della Svizzera Italiana che intendono intraprendere il suo stesso percorso professionale?
"Credo sia necessaria molta umiltà, spirito di sacrificio, determinazione, ma anche ottimismo...  Se si tratta di un aspirante cantante, dovrà comprendere che avere una bella voce è solo uno dei tanti ingredienti indispensabili. Al di là delle difficoltà (e della buona dose di fortuna che, come ovunque, è necessaria), suggerirei di affrontare con fiducia i sacrifici che lo studio del canto lirico richiede, perché si avveri il sogno d’una vita vissuta sul palcoscenico di un teatro... Perché si possa avere l’onore di prestare la propria voce alle grandi partiture dei più celebri compositori di sempre. Il percorso d’apprendimento è indubitabilmente spinoso, perché fatto anche di rinunce, ma ne vale la pena, perché porta verso quello che spesso mi è capitato di definire come “il paradiso della musica”".  
 
Qual è la sua opinione sui talent show?
"Ritengo rappresentino un’opportunità. Credo che in ogni campo sia sempre stato difficile emergere, e sempre lo sarà: temo sia un luogo comune, affermare che oggi è più arduo farsi notare, rispetto al passato. In realtà non è così. I talent show aumentano tale possibilità, così come aumenta una sana competitività. Possono rappresentare un'occasione in grado di far scoprire agli altri il servizio che un giovane può prestare alla società con il proprio lavoro, con la propria arte". 
 
Lei ha tre figli. Eccetto la piccola, Amos e Matteo stanno seguendo le sue orme?
"In effetti, Virginia ha ancora tutto da scoprire, anche se assorbe musica da quando è nata (la sua agenda concertistica corrisponde alla mia, nel senso che è sempre con me e con mia moglie). Amos e Matteo frequentano il liceo e parallelamente studiano pianoforte. È già capitato che mi abbiano accompagnato in esibizioni pubbliche, soprattutto di beneficenza. Mi auguro capiti sempre più spesso, per il piacere di vivere insieme la gioia della musica. I loro insegnanti sono soddisfatti, non posso dire che non abbiano talento musicale. Ma da qui a farne una professione, c’è lo spazio di mille variabili".

Le piacerebbe?
"Certamente. Anche se cerco di non forzare in alcun modo le tappe, né le loro scelte. Sono, entrambi, in una stagione della vita dove si semina, dove è meglio concentrarsi il più possibile sullo studio. Conoscere e frequentare la musica è fonte di ricchezza interiore e di consolazione per tutti, ma non è detto che la musica debba diventare una professione".

A lei, invece, chi ha trasmesso la passione per la musica, per il canto?
"È una passione probabilmente scritta nei miei cromosomi: dicono che quando ero ancora in culla, non appena sentivo un brano, smettessi di piangere... Da bambino, tutto era un gioco, tutto era una scoperta. Oltre ad assistere al lavoro dei contadini, condividendo i profumi e gli incantesimi della mia terra, cantavo... Cantavo sempre. A sette anni, come ho già tante volte ricordato, riconoscevo in pochi attimi tutte le voci celebri dell’epoca… Il mio primo “eroe” fu Beniamino Gigli: ricordo che restai affascinato dal personaggio ancor prima di ascoltarlo, proprio perché un mio anziano zio mi raccontava le sue prodezze in palcoscenico. Presto mi appassionai anche alle voci di Mario Del Monaco, Enrico Caruso, Giuseppe Di Stefano, Franco Corelli e tanti altri. Ascoltavo, imparavo le grandi arie, poi provavo a imitarne le interpretazioni cantando insieme a loro, nel salotto di casa. Ricordo che a scuola, soprattutto da adolescente, ero considerato “un marziano”, perché i miei coetanei ascoltavano i cantautori in voga, mentre a me emozionavano solo opere quali “La Bohème”, “Tosca”, “Andrea Chénier”".

 

 

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