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LUGANOIl calcio e le donne, che passione

07.03.14 - 07:52
Egidia Bruno, docente al Mat di Lugano, porta in scena sabato uno spettacolo dedicato all’argomento: a tre mesi dai mondiali, ci spiega perché il pallone è femminile
Foto d'archivio (Keystone)
Il calcio e le donne, che passione
Egidia Bruno, docente al Mat di Lugano, porta in scena sabato uno spettacolo dedicato all’argomento: a tre mesi dai mondiali, ci spiega perché il pallone è femminile

LUGANO - Il titolo è perfino respingente. Lo spettacolo tutt’altro: in scena per la prima volta nel 2004, non ha ancora smesso di essere richiesto e applaudito. Sarà perché protagonista è il calcio, declinato però al femminile: metafora del desiderio e del bisogno di liberarsi da pregiudizi, limiti e costrizioni. “La Mascula” è Rosalba, donna del Sud che ama il pallone e non si cura di chi lo considera cosa per gli uomini. Una rivincita della femminilità senza confini, nel giorno dedicato alle donne:  sul palco Egidia Bruno, docente di teatro per il Movimento Artistico Ticinese, domani alle 20.30 al teatro don Bosco di Locarno.

Egidia, che cosa ci fa il calcio a teatro?
“La fa da protagonista. È uno degli elementi principali di questa storia, come la pazzia in Amleto o la gelosia in Otello. Serve a raccontare un conflitto”.

Torna in scena a tre mesi dai mondiali. Un caso?
“Un caso. Questo spettacolo nasce nel 2004. Gira da diverso tempo, ma continua a essere molto richiesto”.

Che cosa piace?
“È una bella storia: e non lo dico perché l’ho scritta io. Il pubblico mi ha dato tante conferme e gratificazioni. È simpatica, bella, lieve ma non superficiale. Grande merito ha anche la regia di Enzo Jannacci, che è riuscito a tradurre la follia e la poesia di questa storia”.

Quanto è autobiografica?
“Un giorno Jannacci mi suggerì di provare a tirare quattro calci al pallone. Si arrese subito. Non sono capace, non sono io la protagonista. Ho alcuni tratti che mi accomunano a lei. È chiaro che non si può scrivere di ciò che non si conosce. L’importante è che il pubblico ci creda. Ma giocare a pallone proprio non riesco”.

Guardarlo in tivù?
“Certo. Non sono una fedelissima, ma non mi dispiace. Quando c’è la nazionale la guardo. Se c’è qualche partita e non ho altro da fare, mi siedo con il mio compagno a vederla. Ma non sono una sfegatata”.

Squadra del cuore?
“Ne ho tante: quella del mio compagno, dei miei famigliari…”.

I mondiali?
“Li guarderò”.

Ma il calcio è una cosa per donne?
“Nel modo più assoluto. La squadra femminile della Roma una volta è venuta a vedermi. Ma non è solo uno sport per donne fra le donne. C’è anche una donna che gioca in una squadra maschile. È la dimostrazione che certi cliché sono superati. Va archiviato il pensiero che il calcio sia uno sport per soli uomini”.

Dunque che cos’è la femminilità, per te?
“La femmina si distingue dal maschio per ovvie ragioni fisiologiche. Ciò condiziona la psicologia individuale. La donna ha una maggiore complessità interiore. Le differenze sessuali ci sono: però al mondo per me esistono “persone”. Il valore prescinde dal sesso”.

Com’è stato lavorare con una “persona” come Jannacci?
“Un’avventura formidabile. Per me è stata una grande fortuna e un grande onore, mi ha trasmesso tantissimo. Io non conoscevo molto bene la sua discografia, fino a quel momento avevo avuto a che fare di più con Gaber. Quando mi sono avvicinata a Iannacci, sono rimasta colpita. Era un’artista a tutto tondo, un grande cantautore, un grande interprete. E sulla scena gli ho visto fare cose da grande attore”.

Quando pensi a lui, che cosa ti viene in mente?
“Mi ricordo il giorno in cui andai da lui con la coda tra le gambe per dirgli di non curare più la regia. Gli avevo chiesto di occuparsene nel momento in cui, sollecitandomi a mettere in scena il racconto che avevo scritto e con il quale nel 2002 avevo vinto il premio Troisi, mi fecero capire che per essere pagata avrei avuto bisogno di un nome importante. Lo proposi a lui, poi la produzione saltò. Mi presentai da lui e gli dissi “Maestro, non posso più prevedere un cachet per te, lasciamo perdere”. Lui mi sorrise e rispose: “Secondo te io farei la regia per soldi?”. Si comportò da vero maestro. Lui era stato allievo di Fo, che gli aveva detto: “Tu dovrai fare lo stesso che io ho fatto con te, quando incontrerai il talento”.

Talento versatile: perché un’attrice comincia a scrivere?
“A un certo punto mi è venuta la presunzione di avere delle cose da dire. Quando poi ho visto che avevano riscontro, ho capito: ero un’attrice che aveva bisogno di esprimere qualcosa di proprio. Come potrei definirmi, un’autattrice? Dal ’97 porto in giro quattro miei monologhi. L’ultimo è “W l’Italia.it”, sulla nascita della questione meridionale”.

Com’è recitare nella città dove insegni?
“Mi fa molto piacere. Così gli allievi possono vedere se stanno spendendo bene i loro soldi”.

Ti senti messa in discussione?
“Mi piace l’idea di recitare davanti a loro. È bello ed è giusto. È un modo per soddisfare la loro curiosità: hanno il diritto di sapere chi è la persona che sta cercando di trasmetter loro qualcosa”.

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