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CANTONE«Oggi c'è povertà di ricchezza interiore»

13.10.17 - 06:01
Nel tardo pomeriggio di mercoledì, poco prima della performance tenuta nell’ambito degli showcase di Rete Uno, abbiamo incontrato Raphael Gualazzi
TiPress
Raphael Gualazzi, 35 anni.
Raphael Gualazzi, 35 anni.
«Oggi c'è povertà di ricchezza interiore»
Nel tardo pomeriggio di mercoledì, poco prima della performance tenuta nell’ambito degli showcase di Rete Uno, abbiamo incontrato Raphael Gualazzi

LUGANO - Raphael è in assoluto uno dei massimi esponenti della scena musicale italiana contemporanea. Lo ha dimostrato e continua a dimostrarlo. Non a caso si cerca in tutti i modi di “strappargli” un’esibizione alle nostre latitudini, così come ha fatto Rsi mercoledì, ma anche Estival la scorsa estate e JazzAscona nel 2016: «Da queste parti torno sempre con grande piacere - spiega Gualazzi - In realtà siamo oltre il confine italiano, ma si parla la stessa lingua: è bellissimo per me ritrovare anche qui quell’accoglienza e quella bellezza tipica del mio Paese».

Raphael, “Love Life Peace” è il titolo del tuo ultimo album: pare che di amore, vita e pace a questo mondo ce ne sia sempre meno…

«Ho l’impressione che oggi, per destare clamore, si faccia sempre più leva sulla cattiveria dell’essere umano. Dal mio punto di vista, invece, sarebbe molto più utile insegnare l’importanza e il significato dell’amore, della vita e della pace. Oggi quasi tutti abbiamo la possibilità di avere tutto: ma i veri valori bisogna imparare a riconoscerli, perché, come ben sappiamo, non si possono comprare… Sono convinto che il vero problema dei nostri tempi sia la povertà di ricchezza interiore: è questa la vera eredità che lasceremo ai nostri figli, alle nuove generazioni? Dirò delle ovvietà, ma è così…».

Questo disco, dal mio punto di vista, è un’autentica lezione di black music: soul, disco soul, r&b, blues… Chi hai ascoltato in particolare durante il processo di lavorazione?

«Tempo fa andai a sentire a Londra Nathalie Williams & Soul Family: lo show mi colpì in maniera particolare… L’album, comunque, è composto anche da brani che avevo lasciato nel cassetto quando ero molto giovane: tante idee, nel corso del tempo, anche grazie al dialogo con altri musicisti, hanno ripreso forma e hanno trovato casa dentro un’altra ispirazione...».

Qual è il brano più “datato”?

«“Right To The Dawn”: risale al 2009…».

Quali i tuoi album soul/r&b preferiti? Citando “Alta fedeltà” di Hornby, potresti stilare la tua «personalissima top 5»?

«Purtroppo non ricordo il titolo, ma al primo posto c’è una raccolta di Ray Charles in cui figura una versione live di “Yesterday”, il primo brano che, grazie a mio padre, ho ascoltato nella mia vita. Al secondo metto “The Best Of Bill Whiters” (Sussex, 1974), che contiene, ovviamente, brani come “Ain’t No Sunshine” e “Use Me”. Al terzo “Ain’t That A Bitch” (DJM, 1976) di Johnny Guitar Watson, mentre al quarto l’omonimo di Roseaux (Tôt ou tard, 2012), in cui figura l’apporto di Aloee Blacc. Al quinto, per concludere, “Lay It Down” (Blue Note, 2008) di Al Green: quando ero a Londra, quest’ultimo, l’ho consumato…».

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