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CANTONELa paura dell'uomo finisce sul grande schermo

04.10.17 - 06:01
In programma oggi alle 20.30 al Cinema Lux di Massagno l'anteprima svizzera di “Full Metal Mind”, l'ultima pellicola del regista ticinese Mirko Aretini
La paura dell'uomo finisce sul grande schermo
In programma oggi alle 20.30 al Cinema Lux di Massagno l'anteprima svizzera di “Full Metal Mind”, l'ultima pellicola del regista ticinese Mirko Aretini

LUGANO - Un docu-film «atipico», così lo descrive il giovane cineasta. Una produzione che si sviluppa e si snoda sulla «paura recondita» dell'essere umano. La nostra, indipendentemente da chi siamo e da ciò che facciamo. Aretini non si lancia in analisi scientifiche, non è il suo mestiere, e non è alla ricerca di risposte assolute. Il film è un ritratto, un ritratto - molto ben fatto - dell'uomo di questo tempo. Un tempo (perlopiù) caotico e incomprensibile.

Ascanio Celestini, Francesco Tesei, Paolo Rossi, Gino Strada, Nicola Lilin, Daniele Finzi Pasca, Goran Bregovic, Paolo Villaggio, Andrea Zurlini, Alessandro Bergonzoni, Mogol, Giorgio Nardone e Jacopo Fo sono i tredici uomini di cultura e di spettacolo che, nella pellicola, intimamente si confessano, raccontando, senza giri di parole e senza fuggire, della paura. Del proprio rapporto con la paura.

Mirko, raccontami l’idea alla base del film…

«L'idea nasce dalla volontà di chiudere una sorta di trilogia della “bilocalità” tra uomo e artista. Il primo film, “Iceartland” (2012), è stato girato in Islanda, partendo dalle leggende popolari e dal rapporto con la credenza elfica per arrivare, in realtà, a trattare il rapporto uomo-natura e quanto sia importante vivere luoghi così incredibili, animati, per di più, da una scena artistica straordinaria, nel mezzo della quale, tra i numerosi altri, figurano i Sigur Rós, con cui ho avuto l'onore di collaborare. Di seguito, “Poetico Respiro” (2014) - una pellicola presentata a Venezia che conta la collaborazione, tra gli altri, di Patti Smith, Philip Glass e Vinicio Capossela - tratta la temporalità. La temporalità come argomento in cui collocare i personaggi in una riflessione tra uomo e artista. Con “Full Metal Mind” si chiude il cerchio».

In quanto tempo ha preso forma?

«Circa due anni. Ma c'è qualcosa che desidererei precisare: questo lavoro è, in un certo senso, l'esasperazione del low budget. È un investimento di tempo e dedizione, e assolutamente non remunerativo in termini economici. Leggendo i nomi dei personaggi coinvolti, si potrebbe pensare a chissà quale produzione. Niente di più sbagliato. Tutti coloro che ne hanno preso parte si sono messi a disposizione senza pretendere un centesimo, fidandosi dell'idea e dei risultati ottenuti con le opere precedenti. “Full Metal Mind” è fatto con niente e creato dal nulla, o meglio, da un percorso di continuità personale che è puramente artistico e libero da qualsiasi vincolo. Ma, d'altronde, per capire tutto questo, basta guardarlo. Basta guardarlo con la mente libera e il cuore aperto. Ci siamo davvero soltanto “noi”: quattromila franchi, una videocamera, un semplice microfono, il mio produttore Silvano Repetto e tanta buona volontà. Post-produzione inclusa».

“Full Metal Mind” è una delle ultime pellicole a cui ha preso parte Paolo Villaggio.

«Non vorrei far sembrare il film un tentativo di speculazione al riguardo, per il mio enorme rispetto verso l’uomo e l’artista. Posso dire, comunque, che incontrare Paolo è stato semplicemente fantastico: qualcosa che custodirò per sempre dentro di me».

Cosa vuoi dirmi della partecipazione di Gino Strada?

«Gino Strada può parlare di una paura pratica e concreta, talmente concreta che molti di noi nemmeno sfiorano in un'intera vita. Per fortuna, aggiungo. È un uomo incredibile. Il suo punto di vista sull'argomento, oltre che pertinente, è anche un totale punto di rottura poiché ne determina un confine: il confine tra pensare la paura e viverla.

Come ti stai muovendo per la distribuzione del film?

«È presto per parlarne, ma sicuramente non per discutere delle ovvie difficoltà. È un argomento davvero enorme e complesso. Anche in casi di grosse produzioni, la distribuzione è sempre un capitolo a parte e, talvolta, può costare più del film stesso. Certo, in questo caso bisogna sperare che il film piaccia, al di là di tutto. Ma anche se così fosse, esistono logiche di mercato che vanno parecchio oltre l'eventuale merito. Se ci si pensa, però, già conosciamo le date di uscita - tra il 2020 e il 2025 - dei quattro nuovi capitoli di “Avatar”.

E a livello di festival?

«Vedremo, anche in questo caso. Puntare a una distribuzione diretta potrebbe essere forse più logico, rispetto ai vincoli festivalieri. Non credo importi più di tanto, comunque, dove e come vedere un film. Ciò che è importante, secondo me, è il suo valore…

 

 

 


 

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