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CANTONEMarco Tullio Giordana: «Per me Locarno è come Milano, dove sono nato»

02.08.17 - 06:01
Abbiamo incontrato Marco Tullio Giordana: lunedì in Piazza Grande, nell’ambito del Prefestival, il regista ha presentato “Due soldati”, il suo ultimo film, che sarà trasmesso da Rai Uno in autunno
Locarno Festival
Marco Tullio Giordana lunedì in Piazza Grande con il Pardo d’Oro vinto nel 1980.
Marco Tullio Giordana lunedì in Piazza Grande con il Pardo d’Oro vinto nel 1980.
Marco Tullio Giordana: «Per me Locarno è come Milano, dove sono nato»
Abbiamo incontrato Marco Tullio Giordana: lunedì in Piazza Grande, nell’ambito del Prefestival, il regista ha presentato “Due soldati”, il suo ultimo film, che sarà trasmesso da Rai Uno in autunno

LOCARNO - Una pellicola - girata tra la Campania e l’Afghanistan, interpretata, tra gli altri, da Angela Fontana, Daniele Vicorito e Dario Rea - che narra di una gioventù divisa a metà. Ossia di coloro come Salvatore - che si piegano al sistema, trasformandosi in criminali - e di coloro come Enzo - ancora capaci di darsi da fare con l’intento di trovare un lavoro onesto, finendo, poi, però, per arruolarsi nell’esercito ed essere spediti in territori di guerra. Poi c’è Maria, che sogna e progetta le nozze con Enzo. Ognuno dei tre, in un modo o nell’altro, tenta di migliorare la propria esistenza. O sopravvivenza, su tre diversi fronti. Ma qualcosa cambia, nel momento in cui il caso porta la ragazza ad incontrare Salvatore…

Giordana, come ha preso forma la pellicola?

«Ha preso forma da una proposta del produttore Rosario Rinaldo, che già conoscevo per il film-capolavoro (diretto da Andrea e Antonio Frazzi) “Certi bambini” (Italia, 2005). Quando ho letto la sceneggiatura di “Due soldati” gli ho detto: “Non tocco niente, è bellissima… Posso incominciare a girare domani…”».

Come è andata poi in realtà?

«Diciamo che ho “toccato” ciò che era inevitabile “toccare” quando devi passare dalla pagina alla realizzazione...».

Il film è sempre stato di origine televisiva?

«Sì… Devo dire, comunque, che per me non ci sono differenze nel girare un film per il cinema o un film per la televisione: ho sempre lavorato pensando a quando, da ragazzo, negli anni Sessanta, vedevo i cicli in tv… Tant’è vero che già all’epoca avevo l’impressione che gli sceneggiati di Anton Giulio Majano fossero più vicini al cinema che alla tv…».

Avremo modo di rivedere “Due soldati” su Rai Uno, quindi...

«Mi dicono in ottobre… Era già pronto in primavera, ma in quel periodo la stagione diventa meno propizia… Si tratta di un film, per di più, a cui la Rai vuole dare un certo rilievo e nel quale ha creduto immediatamente, anche per alcune scelte non convenzionali, come girare in Afghanistan…».

Come è andata a quelle latitudini?

«Ci siamo detti subito che avremmo dovuto girare lì; andare in Sardegna o in Marocco non avrebbe avuto alcun senso… E questo, malgrado tutti i rischi. Eravamo in una zona di guerra e l’Esercito italiano ci ha aiutato in tutte le maniere, portandoci, in primis, in territorio afghano con i suoi voli e poi ospitandoci...».

Quando si sono svolte le riprese?

«A fine agosto 2016… Anche in Afghanistan era importante girare con la bella stagione, come è stato fatto in Italia…».

A precedere la proiezione di “Due soldati” lunedì in Piazza Grande, il suo corto “Scarlatti K.259”...

«Quando stavamo girando il film, il direttore della Reggia di Caserta mi ha mostrato un gioiello chiuso al pubblico, chiuso perché va rimesso a norma: il Teatro di Corte, bellissimo e dotato di un’acustica pazzesca. Dopodiché, la mia passione per la musica mi ha portato a realizzare la pellicola pressoché immediatamente, coinvolgendo il chitarrista Antonio Mascolo, che, davanti alla cinepresa e a tre microfoni direzionali, si è prodigato nella trascrizione per chitarra del brano. A posteriori, poi, mi sono chiesto perché ho voluto fare questa cosa, e solo dopo ho capito che in realtà “Due soldati” e “Scarlatti K.259” raccontano lo stesso territorio, tra armonia e disarmonia…».

Questo corto potrebbe essere il primo episodio di una serie musicale?

«È ciò che vorrei fare, in altri luoghi altrettanto nobili, allargandomi magari anche ad altri strumenti…».

Sta lavorando anche ad altri progetti?

«Non posso dire molto, ma ho appena finito di girare un altro film, “Nome di donna”, - prodotto da Lionello Cerri - con Cristiana Capotondi, Valerio Binasco e Adriana Asti».

Per concludere: cos'è per lei Locarno, dove, nel 1980, il suo primo lungometraggio, “Maledetti vi amerò”, vinse il Pardo d’Oro?

«Chiedermi di Locarno è come chiedermi della Clinica Mangiagalli (Milano), dove sono venuto al mondo… (ride)».

Info: pardo.ch

 

 

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