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CANTONEOmosessualità: «Nello sport è ancora un tabù»

02.09.16 - 06:00
Il 6 settembre negli scaffali delle librerie troveremo “L’arbitro arcobaleno” (Fontana Edizioni), il romanzo di esordio di Nicola Bignasca
TIPRESS/PUTZU-GIANINAZZI
Nicola Bignasca, classe 1966.
Nicola Bignasca, classe 1966.
Omosessualità: «Nello sport è ancora un tabù»
Il 6 settembre negli scaffali delle librerie troveremo “L’arbitro arcobaleno” (Fontana Edizioni), il romanzo di esordio di Nicola Bignasca

BELLINZONA - Dal 2008, dopo la laurea in psicopedagogia e scienze motorie all’Università di Berna e una lunga serie di esperienze a Macolin, Bignasca è il responsabile della comunicazione del Centro sportivo nazionale della gioventù di Tenero. Tra pochi giorni avremo modo di leggere il suo primo romanzo, in cui viene affrontato un tema ostico e, purtroppo, strettamente attuale: l’omofobia nello sport giovanile.

Il testo narra di Andrea, un arbitro che, per puro caso, si ritrova a dovere dirigere la partita della squadra in cui giocava da ragazzo. Dopo otto anni, Andrea si ritrova così di nuovo al cospetto di quell’allenatore che, denigrandolo, aveva tentato di trasformarlo in un “vero maschio”.

Nicola, “L’arbitro arcobaleno” è il tuo romanzo di esordio. Perché hai scritto un libro sull'omosessualità nello sport?

«Perché è ancora un tabù. Nello sport si può parlare di molti temi con i ragazzi: di doping, di razzismo, di sessualità, ma non di omosessualità. È come se non esistesse. Lo sport è intriso di machismo, esaspera un'avversione viscerale nei confronti dell'omosessualità. A volte gli allenatori - e i ragazzi stessi - fanno leva sullo spauracchio del maschio poco virile e aggressivo per stimolare le prestazioni. Frasi come «non sarai mica gay» e altri eufemismi impronunciabili sono ancora di uso frequente sui campi da gioco. Io vorrei sfatare il mito che solo i “maschi eterosessuali” sono bravi nello sport. Di riflesso, mi piacerebbe dare un contributo al rispetto delle diversità e all'integrazione di ogni ragazzo nello sport indipendentemente dalla razza e dall'orientamento sessuale. Il fatto che io sia eterosessuale, spazza via il dubbio che voglia fare una crociata in favore del movimento gay. A me preme soprattutto tutelare i loro diritti nello sport, come nella vita quotidiana».

L’idea del romanzo è nata sulla base di fatti di cronaca, oppure nel corso della tua lunga esperienza in ambito sportivo hai avuto modo di assistere a episodi omofobici?

«L'idea del romanzo è nata da un bisogno e da un fastidio: innanzitutto, c'era il desiderio di investigare su una relazione particolarmente intrigante, quella tra allenatore e atleta. È un rapporto intenso, esclusivo, che si distingue da altre relazioni tra adulto e giovane perché si sviluppa in un contesto - lo sport - che sottostà a regole sue proprie e a consuetudini ritualizzate nel tempo, e che ha, nell'agonismo, un motore formidabile, non sempre facile da domare. Il fastidio è dovuto al timore che lo sport - e il calcio in particolare - è ancora troppo ancorato a un ideale di machismo che non risponde più ai canoni di una società aperta e tollerante nei confronti delle differenze. I simboli della virilità come la ruvidezza dei modi, la volgarità del linguaggio, l'atteggiamento di superiorità rispetto al sesso femminile, trovano ancora troppo terreno fertile sui campi sportivi».

La storia ha come protagonista un giovane arbitro di calcio. Perché questa scelta?

«L'arbitro è una figura che funge da perno, attorno al quale giostrano tutti gli attori dello sport. È una figura molto fertile a livello narrativo perché fa da catalizzatore e da regolatore di tutti gli umori: gioia e dolore, vittoria e sconfitta, condanna e perdono. È un personaggio di cui non si può fare a meno e che, a dipendenza delle convenienze e del contesto, si ama o si odia. A mio modo di vedere lo sport non è riuscito ancora a ritagliargli il posto che si merita. Il suo potenziale non è sfruttato appieno. L'arbitro è sempre presente, ha un ruolo di sentinella, di gendarme e di giudice che fa da garante e sanziona. Soprattutto nello sport giovanile sarebbe utile affidargli un ruolo più positivo ed edificante. Una nuova vetrina che gli offra gli strumenti per dare un apporto costruttivo alla crescita del giovane e dello sport. Nel libro, ipotizzo l'introduzione di un nuovo cartellino con cui premiare il fair play dei giocatori. Non è un'idea nuova, ma fatica a farsi largo nei giochi di squadra».

La storia dell'arbitro è strettamente intrecciata con quella del suo ex allenatore. Nella scheda di presentazione del libro, spieghi che quest’ultimo - senza accorgersene - infligge umiliazioni ad Andrea, il protagonista… Difficile non accorgersene. Come è possibile?

«Perché è un allenatore che sacrifica i valori del rispetto e dell'integrazione sull'altare delle prestazioni a ogni prezzo. E questo rende ciechi. È un allenatore ruvido, inflessibile, cinico, che ottiene risultati solo sul corto termine, ma alla lunga spinge i giovani ad abbandonare l'attività sportiva. E questo è un problema reale».

Quali sono le caratteristiche di un buon allenatore?

«È un allenatore che, oltre alle competenze tecniche, dispone di spiccate doti comunicative. È una persona che sa ascoltare, si dimostra flessibile, sa gestire le situazioni di conflitto, riesce a coinvolgere i ragazzi come parte attiva del gruppo. L'allenatore capace è quello che ha nella testa un programma, ma si regola in base al gruppo. Un buon allenatore adotta una leadership responsabile: egli ha la pazienza di aspettare che l'atleta faccia ciò che deve fare senza affanno. È una guida che osa imparare ad ammorbidirsi. Questa è una qualità rara, difficile da acquisire, perché dà la sensazione di perdere il controllo».

Che ne è delle lesbiche nello sport?

«L'attualità dimostra che le sportive lesbiche sono stigmatizzate come i maschi omosessuali. L'immaginario comune di stampo eterosessuale concede loro un'attenuante che ha dell'irrazionale: a differenza degli uomini omosessuali, le lesbiche non sono ritenute meno performanti rispetto alle sportive eterosessuali, perché sono considerate particolarmente mascoline. E, sempre nell'immaginario comune, la mascolinità favorisce le prestazioni. Ciò è falso e bisogna ribadirlo in ogni occasione».

Quali, secondo te, gli aspetti del mondo sportivo che andrebbero migliorati, o completamente risanati?

«Le regole delle competizioni giovanili; la commercializzazione e l'ipertrofia dei grandi eventi sportivi; l'idolatria del campione sportivo».

Un testo, il tuo, su cui potrebbe essere effettuata una trasposizione teatrale o cinematografica. Che ne pensi?

«Il mio sogno è una trasposizione cinematografica di Ferzan Özpetek con attore protagonista, come suggerirebbe mia moglie, Raoul Bova».

Quali i tuoi prossimi progetti?

«Un nuovo romanzo che prende spunto da una vicenda realmente accaduta nella nostra regione».

 


 

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