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STATI UNITIAddio al geniale folletto della musica

21.04.16 - 21:43
Prince è uscito di scena all'improvviso ma il suo posto nel Paradiso dei grandi era assicurato da tempo
Addio al geniale folletto della musica
Prince è uscito di scena all'improvviso ma il suo posto nel Paradiso dei grandi era assicurato da tempo

MINNEAPOLIS - È morto un genio della musica. Prince è uscito di scena all'improvviso ma il suo posto nel Paradiso dei grandi era assicurato da tempo. Roger Nelson, il suo nome all'anagrafe di Minneapolis, la sua amata città dove è morto oggi, è stato l'ultimo grandissimo della generazione classica della musica Black, quella di James Brown, Marvin Gaye, Curtis Mayfield, Stevie Wonder, Sly Stone ma anche una figura fondamentale che ha fatto da cardine da una parte con il jazz, l'amore per Ellington e l'incontro con Miles Davis, e dall'altra con l'universo dell'hip hop e di personaggi come D'Angelo o Kendrick Lamarr.

Cantante dal falsetto implacabile, chitarrista super virtuoso di scuola hendrixiana, era un ballerino che aggiornava lo stile di Jackie Wilson e James Brown, era un ottimo pianista, suonava bene la batteria e praticamente ogni strumento, sax compreso. Era ovviamente un compositore, arrangiatore e produttore: è stato il primo artista, nella storia della Warner, ad esordire con un album auto prodotto: raccontavano Bob Cavallo e Steven Fargnoli, i due leggendari produttori che l'hanno scoperto, che il ragazzo - allora aveva vent'anni - fu irremovibile: o la Warner accettava il master finito, cosa mai permessa prima a un esordiente, oppure non se ne faceva nulla. La Warner accettò e con "For You", un album in cui il talento è un pò nascosto tra sonorità disco, cominciò la carriera discografica di Prince e al tempo stesso un rapporto tra Major e artista tra i più sofferti e conflittuali della storia dell'industria discografica. La sua maturazione compositiva è stata lenta ma costante fino ad esplodere producendo alcuni degli album più belli di sempre. Già con il secondo album, "Prince", comincia a dare i primi segnali con pezzi come "I Wanna Be Your Lover" e "Why You Wanna Treat Me So Bad?", poi la prima tappa fondamentale di un percorso in cui l'ambiguità dell'immagine si somma a contenuti sessualmente espliciti: nel 1982 "1999" lo porta ai piani alti della classifica e impone la sua personale idea di sintesi musicale. È l'anteprima del trionfo che arriva nel 1984 con "Purple Rain": l'album vende 13 milioni di copie solo in America in quell'anno, consegnando alla storia classici come la title track, "Lets' Go Crazy", "When Doves Cry", "I Would Die 4 U". L'album nasce come colonna sonora del film che Prince interpreta da protagonista. Un trionfo al botteghino, un Oscar per la colonna sonora. Accanto a lui ci sono i Revolution, la band di musicisti amici di Minneapolis, Morris Day e Apollonia, la sex bomb che inaugura una lunga lista di figure femminili mozzafiato che accompagneranno la sua carriera, da Vanity a Jill Jones in cui spiccano la bravissima bassista Rhonda Smith e soprattutto Sheila E., la formidabile batterista, percussionista, cantante. Prince diventa una super star e si impone come una sorta di figura alternativa a Michael Jackson, un folletto che conosce i bassifondi, è un seguace devoto di James Brown e Jimi Hendrix ma sa usare un linguaggio che parla direttamente al pubblico bianco. Comincia il periodo di splendore creativo, anche se non raggiungerà mai più il successo commerciale di "Purple Rain". Invece di riproporre i suoni che l'avevano portato al trionfo, si avventura nel mondo della psichedelia e dei Beatles con "Around The World In a Day" e poi va incontro a un disastro realizzando un nuovo film, "Under The Cherry Moon", un flop clamoroso. Un passo falso che prelude a quello che è il vertice della sua arte e uno dei titoli fondamentali della musica degli ultimi 30 anni: "Sign Ò The Time", un affresco vertiginoso che tiene insieme Duke Ellington e il funk più sporco, il rock e la psichedelia, l'elettronica con il soul, la tradizione e il futuro. Nell'anno di uscita, il 1987, Prince a suonare a Milano, nell'allora PalaTrussardi, lasciando il ricordo di uno di quei concerti che capita di ascoltare poche volte nella vita. "Sign Ò The Time" sancisce la collaborazione con Miles Davis. Il suo periodo di splendore compositivo si chiude all'alba degli anni '90: "Lovesexy" (dove c'è "Alphabet St.") è un ottimo album che tra l'altro genera un tour molto spettacolare (quello del palco circolare e il canestro da basket che Raiuno trasmise in diretta da Dortmund). Dagli anni '90 nei suoi album Prince continua a lasciare tracce della sua grandezza ma comincia una battaglia senza quartiere con la Warner, nonostante avesse firmato un contratto da 100 milioni di dollari. Dato che Prince era un brand di proprietà della casa discografica, Roger Nelson decide per un periodo di non usarlo più, scegliendo acronimi ai limiti del comprensibile, il più celebre dei quali è TAFKAP (The Artist Former Known As Prince, l'artista prima conosciuto come Prince).(La sua guerra alla Warner, aperta dalla vicenda sul "Black Album", lo porta a incidere un triplo album, "Emancipation" per la Emi, presentato prima negli studi di Abbey Road e poi con una festa concerto, di fronte alla stampa di tutto il mondo nella sua casa di Minneapolis, che comprendeva i leggendari "Paisley Park Studios", per un periodo una vera e propria Mecca della registrazione musicale e una music hall da un migliaio di posti. Con la stampa, quando ormai era notte, parlò per tre minuti: poi si scatenò in oltre tre ore di funk furibondo. Negli ultimi decenni, in cui è meritatamente entrato nella Hall of Fame del rock'n'roll, ha alternato momenti di relativa inattività ad altri di grande attivismo, ma sempre mantenendo un'aura di mistero attorno a lui. La sua forza erano rimasti i concerti, quando non erano dedicati ai suoi hit, che erano rimasti degli happening imprevedibili, in cui risaltava la sua incredibile capacità di sintetizzare i linguaggi, quasi fossero delle lezioni di storia tenute da un professore che cantava come Marvin Gaye, ballava come James Brown e suonava la chitarra come Jimi Hendrix. E memorabili sono le tournée con Maceo Parker, il sassofonista di James Brown. O la sua abitudine, una volta finito il concerto, di andare a notte fonda suonare in un club della città. La sua guerra ai giganti del mercato non è mai finita anche se di recente era tornato a incidere per la Warner: basti pensare che su Youtube i suoi video non esistono. Miles Davis lo definiva un piccolo genio, "un mix di Marvin Gaye, Jimi Hendrix, Sly Stone, Little Richard, Charlie Chaplin ... può essere il nuovo Duke Ellington. Prince è capace di conquistare chiunque perché capace di nutrire le illusioni di tutti".

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