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LUGANO/LOSANNATreMeandy: a qualcuno piace jazz

25.11.14 - 06:13
Conosciamo i TreMeandy, che da qualche giorno hanno dato alle stampe il primo ep omonimo
TreMeandy: a qualcuno piace jazz
Conosciamo i TreMeandy, che da qualche giorno hanno dato alle stampe il primo ep omonimo

LUGANO/LOSANNA - Parliamo di un trio jazz, per due terzi di origini ticinesi, che si è costituito a Losanna, tra le mura dell’HeMu (Haute Ecole de Musique), per mano del batterista luganese Giacomo Reggiani. Con lui, a militare tra le fila della line-up, il contrabbassista Simon Quinn (di Sonvico) e il sassofonista Manuel Promotton (di Aosta).

La loro prima produzione – che raccoglie quattro tracce originali (“Macina”, “Maggiolino”, “Mishka”, “K2”) e “I Mean You” di Thelonious Monk – risuona ammaliante in ogni suo aspetto. A livello compositivo Reggiani e Quinn si muovono con disinvoltura, andando a recuperare qualsiasi influenza sonora assorbita nel corso degli anni, rigenerandola, per poi restituirla all’ascoltatore – munita dell’apporto di Promotton - attraverso un’esecuzione minuziosa, puntuale.

Giacomo, perché la scelta di non coinvolgere uno strumento armonico?

"Senza una chitarra o un pianoforte lo spazio di sperimentazione è nettamente più ampio... Diciamo che si diventa più propositivi… Ed inoltre è più facile ascoltarsi… Nel jazz, questo, è un fattore vitale…"

Puoi entrare nel dettaglio delle influenze musicali confluite all’interno delle composizioni?

"Grazie a mio padre ascoltavo jazz già da bambino. Mia zia, che viveva negli Stati Uniti, inoltre, con scadenze regolari mi spediva dischi e cd… Ho iniziato a suonare a cinque anni e a otto ascoltavo batteristi come Art Blakey, Max Roach e Roy Haynes…"

Se non sbaglio hai avuto anche una parentesi legata al rock, giusto?

"Certo, è un passaggio inevitabile… Durante l’adolescenza ascoltavo gruppi come Metallica e Rage Against The Machine… Nel corso degli anni, inoltre, ho suonato con i Those Furious Flames, con Igor Negrini (The Flag) e con Andrea Bignasca…"

Raccontami le quattro composizioni originali…

"Io ho portato in sala prove “Macina”, “Maggiolino” e “Mishka”… Simon, a sua volta, ha proposto “K2”… L’arrangiamento è nato in quegli istanti…"

Perché “I Mean You” di Thelonious Monk?

"Si tratta di un brano a cui sono molto affezionato e che non avrei potuto non riproporre all’interno di questa produzione… Da neonato – secondo quanto mi è stato raccontato – mi addormentavo su quelle note… Diciamo che è un ringraziamento, ai miei genitori e a Monk, che poi ho iniziato a seguire e ad amare attorno ai dodici anni…"

Difficile “catalogare” la vostra musica… Tu come la definiresti?

"È difficile anche rispondere… Ma ti direi jazz post-moderno…"

 

 

 

 

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