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L'OSPITEDan Vittorio Segre aveva un sogno

04.10.14 - 10:00
di Francesca Rigotti
Foto Ti Press
Dan Vittorio Segre aveva un sogno
di Francesca Rigotti

Dan Vittorio Segre aveva un sogno: il sogno della pace in Medio Oriente, la pace tra il popolo di Israele e i suoi vicini, tra ebrei e arabi. Dan aveva avuto una vita movimentata e di grandi cambiamenti; da un nome a un altro, da una lingua a un'altra, da una cultura a un'altra a un'altra ancora, da una professione a un'altra a un'altra: addetto culturale, giornalista, diplomatico, accademico, ricercatore.

Dan Vittorio Segre era approdato in Svizzera, a Lugano, nella seconda metà degli anni '90, perché aveva trovato lì il luogo per una iniziativa che potesse coadiuvare il sogno: un Istituto di Studi Mediterranei. Perché il Mediterraneo in una Svizzera che ha solo monti e non ha il mare? Perché la Svizzera, da cinque secoli pacifica nonostante le diverse religioni e lingue, rappresentava ai suoi occhi un modello ideale di convivenza interculturale. Perché a quel modello a suo avviso ci si sarebbe potuti ispirare per proporre politiche simili in luoghi del mondo martoriati a causa di una incomunicabilità di fondo.

Queste cose mi diceva quando lo conobbi, ed era già anziano, ed era l'autunno del 1998 e io avevo da poco pubblicato per Feltrinelli un libro sull'onore (L'onore degli onesti). Mi telefonò privatamente, dopo aver letto il mio libro, mi chiese di andare da lui, mi disse che per motivi di età aveva intenzione di cedere la direzione dell'istituto, me la offerse.

 

“Non me la sento perché i miei figli sono ancora troppo piccoli perché io prenda un altro impegno”, risposi onestamente. So che se avessi accettato mi sarei impegnata a fondo nell'iniziativa, ma non mi sentivo di farlo in quel momento della vita. Più avanti forse, gli risposi. Ma più avanti successero altre cose e l'Istituto come tale si spense.

Perché l'onore? Dan Segre mi disse che avevo toccato un punto importante, che l'onore conta, che è importante che la società non umili i suoi membri, non ne leda il rispetto e l'autorispetto. In una società che si rispetti, e che rispetti gli altri, ogni persona merita l'onore dovuto, un onore universale e universalistico, quasi coincidente con dignità e rispetto dal momento che è a tutti dovuto semplicemente in virtù del fatto di essere persone; onore è termine pregnante, è parola gravida di senso con tutto il suo peso, almeno in ebraico, dove la parola per onore è kavod, derivato dall'aggettivo kaved che significa proprio pesante, carico di beni. Ma questo, mi diceva Dan, l'«ebreo fortunato», come si era definito nel titolo di un suo libro autobiografico, gli ebrei israeliani non l'hanno capito.

 

Al Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, dedicato quest'anno al tema della «Gloria», ho svolto la mia lectio magistralis, il 13 settembre 2014, sull'«onore democratico» e ho parlato tra l'altro, al numeroso e attento pubblico, proprio di Dan Segre e del suo sogno. Non potevo immaginare che Dan ci avrebbe lasciati poco dopo, ma sono contenta di avergli reso quell'omaggio che si meritava. E ringrazio anche chi qui mi ha permesso di scriverne.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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