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L'OSPITEAccordi fiscali con altri Paesi: ASNI lancia un referendum contro

22.06.12 - 08:31
Tiziano Galeazzi, membro UDC Ticino e socio ASNI
Foto Keystone Peter Klaunzer
Accordi fiscali con altri Paesi: ASNI lancia un referendum contro
Tiziano Galeazzi, membro UDC Ticino e socio ASNI

Finalmente l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI) è scesa in campo. Venerdì 15 giugno ha infatti annunciato ufficialmente la raccolta delle 50'000 firme necessarie per portare la popolazione svizzera al voto contro gli accordi fiscali. Un referendum atteso da molti  bancari e parabancari svizzeri e ticinesi, preoccupati per il loro avvenire professionale perché non difesi a sufficienza dai loro datori di lavoro e associazioni di categoria, che troppo spesso hanno accettato passivamente, alcuni anche sostenuto, il percorso a senso unico intrapreso dal Consiglio Federale da marzo 2009 ad oggi. Un percorso con un obiettivo troppo “papista”, disastroso per il nostro mondo economico-finanziario e lavorativo. Un sentiero del “sempre politicamente corretti”, suggerito in parte dalle linee strategiche del Partito socialista svizzero, che includeva perfino la fantomatica idea di voler gestire in Svizzera solo soldi dichiarati (weissgeld politik). Idea a dir poco strampalata e irrealizzabile dal profilo tecnico ma anche illusoria dal profilo pratico. Purtroppo, caro Consiglio Federale, il paese di Alice si trova solo nelle favole.

L’errore di chi ha suggerito il sistema Rubik e weissgeld strategie è stato di aver ignorato le opinioni di coloro che quotidianamente si confrontano con la clientela residente ed estera che dopo tutto mantiene, con i suoi investimenti e depositi, ca. 180'000 impiegati di banca e parabancari (con le loro famiglie), di cui ca. 14'000 in Ticino. I clienti esteri che hanno portato i loro averi in Svizzera, fuggiti dai loro Paesi assetati di tasse, di malgoverno e alcuni sull’orlo del fallimento, hanno creduto nella nostra Nazione, prospera, rispettosa, competente e poco impicciona, dove il cittadino è al centro dell’universo istituzionale e dove lo Stato assegna compiti dando in cambio piena fiducia (il sistema fiscale e quello del cittadino-soldato ne sono esempi).

Il referendum annunciato è un segnale forte indirizzato al Consiglio Federale e a coloro che, senza il minimo scrupolo nei riguardi della nostra economia interna e dei nostri posti di lavoro, hanno voluto cedere alle pressioni di istituzioni sovranazionali semi fallite. Se questo CF non è all’altezza di trovare altre vie per salvaguardare i nostri interessi nazionali, farebbe bene a rassegnare le dimissioni. Il popolo svizzero, oggi più che mai, non è disposto a svendere la propria integrità e la propria sovranità per una ciotola di riso.
Sappiamo tutti che queste istituzioni sovranazionali come l’UE, OCSE, GAFI e altre, sono state create ad arte per sopprimere le espressioni popolari e le sovranità nazionali.  È un progetto che fa parte del nuovo ordine mondiale, dove pochi comandano e tutti sono tenuti ad attenersi alle regole imposte da pochi.

L’attacco attivo da anni alla Svizzera (compresa la piazza finanziaria) ne è un esempio: siamo soli e ancor’oggi in grado di dar corpo alla democrazia diretta e lanciare referendum ogni volta il popolo lo ritenga opportuno, e questo va contro i progetti di queste “caste élittarie”.
Tanti colleghi non hanno potuto prima d’ora esprimersi in merito, viste magari le condizioni particolari in cui lavorano o perché in istituti che per mesi hanno sostenuto l’idea del Consiglio Federale, ma avranno la possibilità d’espressione democratica nei prossimi giorni quando, girando per le piazze e le contrade, troveranno le bancarelle per la raccolta delle firme. Ovviamente senza dimenticare il giorno in cui si andrà a votare. Da parte mia mi sono sempre opposto a questi trattati imposti dall’alto e sarò in prima fila in piazza con colleghi per raccogliere le firme necessarie e sostenere la campagna.

Sicuramente non vi saranno manifestazioni sindacali per sostenere questa battaglia dei cosiddetti “colletti bianchi”, come successe qualche anno fa per le Officine di Bellinzona per salvare 400 posti di lavoro, ma qui i posti a rischio sono 14'000 (alcune banche hanno già iniziato a licenziare) e ci si aspetta che parecchi ticinesi si mostrino compatti per difendere il futuro di tantissime famiglie. Non sono solo le banche, assicurazioni o fiduciarie ad essere in pericolo, perché senza di esse non lavorerebbero più nemmeno i ristoratori, i negozi il turismo, gli enti pubblici (tasse cantonali e comunali) e tutti i servizi in generale, perché il Ticino intero, dagli anni ’70, ha fondato la sua prosperità su questa sfera economica, checché se ne dica.

Sarà un estate calda, forse non solo per il meteo, perché è in gioco il nostro futuro nei confronti dell’estero, dove qualche esponente al vertice di grosse banche ha sottolineato come la Svizzera finanziaria sia in “guerra” contro altre piazze, e la vorrebbe vedere declassata a mercatino dell’usato.

La strada intrapresa della weissgeld  strategie e Rubik non piace e Berna dovrà rassegnarsi e trovare nuove soluzioni senza smantellare il segreto bancario, come invece vorrebbero paesi quali Germania, Inghilterra, Austria e Italia. Inutile dire che nella vicina penisola si stanno già leccando i baffi sui miliardi che dovrebbero incassare, visti gli articoli di giornale apparsi nelle ultime settimane.
Non è certo la Svizzera a dover fare l’esattore d’imposta per conto di nazioni allo sbando che non sono state in grado, nei decenni passati, di gestire le proprie finanze e i propri cittadini a livello fiscale, soffocando così l’economia e la libertà d’impresa dei propri cittadini.

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