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L'OSPITEApplicazione 9 febbraio: tra responsabilità ed esercizi a vuoto

19.12.16 - 10:32
Marco Romano, consigliere nazionale
tipress
Applicazione 9 febbraio: tra responsabilità ed esercizi a vuoto
Marco Romano, consigliere nazionale

Venerdì scorso Consiglio nazionale e degli Stati hanno espresso il voto finale sulla Legge di applicazione dell’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa” approvata dal Popolo il 9 febbraio 2014.

Finalmente, a pochi minuti dalla mezzanotte. Il termine a disposizione, citato espressamente nell’iniziativa, era di tre anni. Il Consiglio federale, inconsistente e incoerente sul tema, ha speso due anni senza giungere a rinegoziazioni con l’UE e a proposte sostenibili. L’Assemblea federale ha dovuto realizzare l’esercizio obbligatorio in pochissimi mesi.

Il testo approvato si fonda su di un patto tra PS e PLR, accompagnati da Verdi, Verdi Liberali e BDP. L’articolo costituzionale chiede una gestione autonoma dell’immigrazione. Purtroppo quanto sortito dalla maggioranza non prevede né misure che riguardino l’immigrazione né margine di manovra per una gestione unilaterale. La volontà popolare non è messa in atto. È una semplice e inefficace gestione della disoccupazione che focalizza sui lavoratori, senza poi fare alcuna distinzione sulla loro origine e situazione personale. Le misure possono essere prese unicamente con una disoccupazione superiore alla media. Un concetto tutto ancora da definire e lontano dai reali problemi. I Cantoni non potranno agire senza il consenso del Consiglio federale.

Il Gruppo PPD ha da subito proposto un’attuazione efficace con una clausola di salvaguardia regionale e misure per promuovere la manodopera indigena. La soluzione PPD avrebbe permesso di gestire l’immigrazione, anche con misure forti, là dove questa genera problemi, in singole professioni e singoli cantoni per un periodo limitato. Pur generando qualche mal di pancia a Bruxelles, avrebbe rispettato l’Accordo sulla libera circolazione utilizzando il margine di manovra esistente. La volontà popolare sarebbe stata applicata senza compromettere gli accordi bilaterali. L’immigrazione va gestita dove genera distorsioni nel mercato del lavoro, in maniera regionale e non nazionale. Detonatore delle misure non sarebbe stata solo la disoccupazione, ma soprattutto la pressione sui salari e l’effetto di sostituzione generato dai lavoratori esteri. Il Ticino conosce questi ultimi fenomeni in tutti i settori.

Purtroppo tutto quanto proposto è stato ignorato e combattuto dalla maggioranza. Lasciando comprendere come tutto fosse già stato costruito a tavolino con l’amministrazione federale, in costante relazione con i burocrati europei, per realizzare un’applicazione che non divenisse mai realtà.

In votazione finale il PPD ha deciso di smarcarsi con una posizione univoca e compatta. L’astensione è un atto politico forte: da un lato il modello della maggioranza non era accettabile, dall’altro il voto contrario dell’UDC era irresponsabile perché orientato a un’applicazione massimalista, inutile e molto nociva alla Svizzera. Tetti massimi e contingenti nazionali, fissati a inizio anno, avrebbero rotto in maniera inequivocabile i rapporti con i Paesi circostanti e con l’Europa generando un grave danno per il Paese. Ad oggi il bilateralismo va tenuto stretto in assenza di alternative; certi di non voler aderire.


La posizione del PPD ha generato irritazione. La maggioranza non può chiederci di collaborare dopo aver negletto le proposte concrete messe sul tavolo. L’UDC – malgrado proclami populisti molto incoerenti – non ha il coraggio politico di combattere l’applicazione lanciando referendum.

La Legge approvata è per il PPD insoddisfacente. A nome del Gruppo ho subito depositato una mozione che chiede di monitorare l’applicazione. Se, come ci pare molto verosimile, si rivelasse inconsistente chiediamo al Consiglio federale di prevedere ulteriori misure riprendendo quanto proposto dal PPD nei lavori parlamentari. L’esercizio non è chiuso e il PPD vuole soluzioni per gestire le distorsioni generate dall’immigrazione nel mercato del lavoro.

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