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L'OSPITEUna pietra per l’editore Armando Dadò da metter sopra la polemica per la chiesa di Mogno

27.08.16 - 20:03
arch. Giovan Luigi Dazio Presidente Associazione Chiesa di Mogno
Foto d'archivio (Tipress)
Una pietra per l’editore Armando Dadò da metter sopra la polemica per la chiesa di Mogno
arch. Giovan Luigi Dazio Presidente Associazione Chiesa di Mogno

Quest’anno ricorrono i 30 anni dalla caduta della valanga su Mogno e i 20 anni dall’inaugurazione della chiesa che si è voluto far costruire nella frazione dell’allora Comune di Fusio. funestata da quell’evento. La chiesa doveva essere ed è stata un segno della volontà di rinascita, una sfida lanciata al futuro delle valli, assediate dal rischio di spopolamento e di abbandono delle terre dei padri. Non c’è storia senza memoria: è un concetto che occorre tenere ben vivo e che molta gente continua a interpretare, anche a costo di notevoli sacrifici di ogni genere. Fedeltà all’idea di appartenenza, di radicamento, di legami che non si attenuano.

Da quel lontano e infausto 25 aprile 1986, non è passato anno che a Mogno non si siano ricordati il passato e i germogli di nuovo che nella lunga scia di distruzione sono cresciuti. Simbolo di questo impegno è la chiesa, il cui progetto fu affidato all’arch. Mario Botta. Fu una scelta coraggiosa e forte, di decisa proiezione nella modernità e al tempo stesso di salvaguardia dell’identità. Lì c’era una chiesa voluta dai padri, lì doveva sorgerne un’altra, anche in loro memoria. L’iter fu tormentato e si arrivò fino al Tribunale federale di Losanna per ottenere la sentenza che diede poi via libera ai lavori. Sono passati 20 anni
dal giugno 1996, quando il vescovo Torti vi celebrò la Messa dell’inaugurazione; poi dieci anni fa salì il vescovo Grampa e quest’anno il vescovo Lazzeri con un preciso significato che è di fede e di
tenacia.

A visitare e a dar lustro all’opera che abbiamo fatto costruire a Mogno sono salite a Mogno autorità a tutti i livelli, da quelle locali alle federali, personalità di ogni campo e provenienza. Soprattutto sono saliti decine di migliaia di visitatori arrivati da ogni dove, dalla Cina all’America. Vorrà pur dire qualcosa questa potenza di richiamo, questa capacità di attrazione. La vogliamo spiegare e abbinare al solo nome di Botta? E sia: un motivo in più che depone a favore della lungimiranza dell’incarico iniziale.

Non passa celebrazione ufficiale che non inneschi qualche spunto di polemica che diventa sempre più incomprensibile con il passare degli anni. Il tempo dovrebbe lenire anche eventuali lontane ferite, ricomporre strappi. Non è così per Mogno. Quest’anno, il 26 giugno sono giunti a Mogno il Consigliere Federale Berset, il presidente del Consiglio di Stato Beltraminelli e il Consigliere di Stato Vitta, autorità federali e cantonali di ieri e di oggi e, un mese dopo, il presidente della Confederazione Schneider-Ammann. Una presenza che assume un preciso significato e suona come riconoscimento per quel che si fece e per quel che si continua a fare, con un giudizio ormai ampiamente acquisito in lungo e in largo.

Spiace che con questo clima e in questo contesto l’editore Armando Dadò abbia voluto dissotterrare l’ascia di guerra per rinfocolare una vecchia e astiosa polemica sulla “chiesa e il monumento”. Tutto
nasce fondamentalmente da una opposizione insanabile a Botta e al suo progetto. Su alcune sue riviste, l’editore ha voluto distribuire attacchi e colpe, non risparmiando nessuno, neppure il vescovo Eugenio Corecco che, con il peso della sua autorità morale, diede il contributo decisivo alla realizzazione del progetto di Botta. Davvero peccato riaprire una ferita con tanta acredine e sentenziare con tanta unilateralità. Sono passati 30 anni: resta tutta la chiusura di allora, un atteggiamento che fu censurato pubblicamente, senza mezzi termini dall’indimenticato sindaco di Biasca e deputato Alfredo Giovannini.

"Il discorso di Dadò – disse – deve far paure per il suo oscurantismo e per il suo più totale disprezzo che veicola verso l’arte figurativa, il progresso e la libertà di confronto artistico”. Il giudizio, che non fu il solo (Geo Camponovo parlò di “un intervento tipico di anticultura e antipolitica”), fu riportato da tutti i giornali, nelle cronache del Gran Consiglio.

Personalmente conservo un ricordo amaro legato a quell’epoca lontana e a quelle dispute. Dadò mi disse che “non si deve costruire la chiesa a Mogno perché questi paesi sono senza futuro e non è più
auspicabile viverci”. Grave! Il tempo ha dimostrato che nonostante tutto, la gente di montagna resta attaccata alla sua terra, resiste e continua a viverci ed a sperare, come facevano i nostri vecchi.
L’opera di Mogno è la prova di un investimento di fiducia nel futuro ed è un atto storico di coraggio e di lungimiranza, concetto su cui hanno insistito tutti coloro che – ieri come oggi – hanno voluto
celebrare questo gioiello di architettura. Al presidente Schneider-Ammann abbiamo fatto dono di una delle ultime pietre usate per costruire la nostra chiesa. Saremmo tutti lieti, io per primo, di
poterne consegnare una anche all’editore Dadò, perché la metta sopra questa fin troppo lunga e ormai sterile polemica.

arch. Giovan Luigi Dazio
Presidente Associazione Chiesa di Mogno

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