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L'OSPITEEmergenza migranti: La Svizzera deve fare di più, soprattutto all’estero

07.10.15 - 14:51
Nicolò Parente, candidato al Consiglio nazionale di Generazione Giovani (Lista Sopraceneri)
Emergenza migranti: La Svizzera deve fare di più, soprattutto all’estero
Nicolò Parente, candidato al Consiglio nazionale di Generazione Giovani (Lista Sopraceneri)

Una crisi che non sembra vedere una fine ma che rischia purtroppo di essere soltanto all’inizio. Migliaia e migliaia di persone in cammino alla ricerca di una vita degna di essere definita tale. Un’odissea che può durare anche anni. Violenze, umiliazioni e tanto dolore fisico e psicologico. La vita costantemente in pericolo e nelle mani di trafficanti senza scrupoli interessanti soltanto a guadagni sulla pelle e sulla disperazione di essere umani, non più considerati tali, bensì alla stregua di merce dalla quale ricavare il profitto più alto. Le migliaia e migliaia di migranti potrebbero presto diventare milioni. Non è demagogia. Basti pensare che due terzi della popolazione siriana, 12.2 milioni, ad oggi non hanno di che far fronte ai bisogni quotidiani e potrebbero presto spostarsi al di fuori dei confini nazionali. La Svizzera, così come diversi Stati dell’UE, è confrontata con la fase finale del problema ovvero la difficile scelta fra quali domande d’asilo riconoscere e quali respingere. Nulla in confronto ai patimenti vissuti da queste persone. La Confederazione potrebbe però intervenire a monte della tragedia per un proprio interesse diretto – è vero! – ma soprattutto per evitare che queste migliaia di bambini, donne e uomini abbiano a sopportare torture e sofferenze che ai giorni nostri nessuno dovrebbe più vivere. No, la soluzione non è però lo sprezzante “aiutiamoli a casa loro” quasi che, essendo il nostro un paese particolarmente benestante, una manciata di soldi sarebbero sufficienti a calmare la coscienza e a tenere lontano il problema.

Quello che la Confederazione potrebbe anzitutto fare – cosciente che questo non arresterà per forza il flusso di disperati – sarebbe un impegno maggiore, per il tramite della Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione (DSC), nelle zone di crisi e nei paesi limitrofi. Per maggiore impegno intendo rinnovare ed aumentare i finanziamenti alle organizzazioni già attive sul posto nell’accoglienza e nella protezione a rifugiati e migranti. I paesi di origine dei due grandi gruppi di migranti che oggi giungono in Europa sono Siria ed Eritrea. Per questi Stati la cooperazione direttamente sul posto è purtroppo difficoltosa se non addirittura impossibile. Per il caso siriano la Confederazione, a partire dallo scoppio del conflitto nel 2011, ha stanziato 178 milioni di Franchi. Soldi non destinati a Damasco bensì ai paesi confinanti come Libano e Giordania che, dopo aver accolto oltre quattro milioni di profughi, non sono più in grado di gestire l’emergenza e rischiano il collasso con il conseguente esodo verso nord, verso l’Unione Europea. Anche un accresciuto finanziamento ad organizzazioni attive nell’estremo est della Turchia, paese che con la Siria condivide un’estesa frontiera, sarebbe certamente utile alla prima accoglienza dei migranti. Il caso eritreo non si distanzia da quello siriano. La Confederazione fa già molto è vero, un esempio è il Programma Corno d’Africa allargato 2013-2016 incentrato su sicurezza alimentare, salute, migrazione, costruzione di pace e gestione dei conflitti che finora ha destinato alla regione quasi 200 milioni di Franchi. La Svizzera è dunque molto attiva nell’aiuto all’estero ma, vista l’eccezionalità del momento, dovrebbe da subito rivedere la propria strategia fornendo risorse sufficienti, prima di tutto alle proprie strutture presenti nelle zone di crisi, secondariamente sostenendo tutte quelle organizzazioni serie che sempre più faticano a svolgere il loro fondamentale compito di aiuto ai profughi perché vittime dei tagli budgetari di molti Stati. Anche il CICR, attore serio e competente, paga purtroppo la crisi economica mondiale e si vede quindi ridurre i contributi con conseguente limitazione della forza del proprio intervento. Ora però serve una reazione da parte nostra che vada al di là dei conti e dei bilanci degli Stati perché scappare da guerre e privazione della libertà è un dovere, mentre vivere in pace è un diritto. Se termini come “austerità”, “manovre di risparmio” e “freno alla spesa” influiscono in maniera decisiva sull’aiuto da prestare a popoli in difficoltà, allora si può purtroppo affermare che le nostre democrazie occidentali hanno fallito. Facciamo in modo che non sia così.

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