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L'OSPITEDannati all’internazionalità? Con rispetto!

27.04.15 - 12:12
Marco Romano, consigliere nazionale PPD
Dannati all’internazionalità? Con rispetto!
Marco Romano, consigliere nazionale PPD

La recente pubblicazione dello studio “Ticino Futuro – riflessioni per un itinerario economico ticinese” elaborato dall’Istituto di Ricerche Economiche ha aperto un’interessante dibattito su presente e futuro del tessuto sociale ed economico del Cantone. Taluni, penso alle numerose aziende del secondario interessate ad inserirsi nelle grandi filiere produttive internazionali (i cosiddetti meta-settori), scorgono interessanti opportunità di sviluppo, altri, come il settore finanziario, si sentono sottovalutati. Mi piace pensare ad una discussione che proseguirà nei prossimi mesi e che si tramuti in stimoli capaci di ripercuotersi positivamente sul territorio. Il potenziale è presente ed evidente.

Noto con interesse, che non ha ancora trovato adeguato risalto un’importante constatazione empirica sulla struttura imprenditoriale ticinese, definita dinamica. Cito il testo dello studio (pagina 31): “Con riferimento invece alla struttura commerciale delle aziende che operano nel cantone, possiamo riportare il valore aggregato degli scambi con l’estero: il 43% circa del PIL cantonale è prodotto dalle esportazioni mentre le importazioni sono pari a circa il 44%; con questi valori, il Ticino si situa tra quei territori maggiormente vocati all’internazionalizzazione”. Volens nolens, le cifre globali evidenziano un Ticino decisamente interconnesso con l’estero, sia prossimo sia distante. Quasi metà delle aziende, direttamente o indirettamente, sono legate a realtà internazionali e hanno un’attività internazionale, sia nell’import sia nell’export. Non sono soli i grandi brand noti a tutti, ma un gran numero di PMI, anche molto piccole, che si innescano in catene internazionali.

A queste si aggiungono poi tutte le realtà che ne dipendono garantendo servizi e prestazioni di supporto, dall’informatica e contabilità fino al facility management e trasporti. Detta brutalmente, un gran numero di aziende lavora quotidianamente con e grazie all’estero tanto avversato e sprezzato nel dibattito politico attuale. Siamo dannati all’internazionalità, ma non vogliamo accettarlo e vederlo? Chi lavora è cosciente della vocazione (e dipendenza) internazionale della propria quotidianità?

La realtà analizzata dallo studio rappresenta una grande sfida sia per le istituzioni sia per le parti sociali, ma di fondo è una buona premessa per modellare il Ticino del 2030. Parlando di sfida penso all’impellente necessità di garantire condizioni quadro favorevoli al consolidamento e all’insediamento di attività ad alto valore aggiunto e con un’elevata produttività. Questa attività sono oggi in Ticino già presenti, anche se spesso misconosciute. Occorre offrire loro un quadro generale positivo (stabilità, sicurezza materiale e giuridica, fiscalità, ecc.) e sfruttare la possibilità di attrarne nuove. Serve una svolta, condizioni quadro che portino a questo sviluppo. Si potrà così fermare la tendenza ad insediamenti scarsamente produttivi, molto invasivi territorialmente e soprattutto incapaci di generare posizioni professionali e redditi interessanti per la popolazione residente. Il parco immobiliare aziendale è vetusto, investimenti volti al rinnovamento potranno solo avere effetti positivi sul territorio e l’ambiente. Di
una tale evoluzione trarrebbe beneficio anche il partenariato sociale che vede oggi i sindacati – giustamente – impegnati nel frenare una latente “lombardizzazione” del Ticino e il padronato a difendersi da gratuite critiche dovute al comportamento irresponsabile di pochi pseudo-imprenditori a discapito dell’immagine della maggioranza di chi fa impresa. Rispettando la cultura sociale ed imprenditoriale locale, cosi come il territorio, il Ticino ha un notevole potenziale.

 

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