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L'OSPITEIl 9 febbraio non è negoziabile

24.01.15 - 12:21
Marco Chiesa, Deputato UDC in Gran Consiglio
Il 9 febbraio non è negoziabile
Marco Chiesa, Deputato UDC in Gran Consiglio

Dunque è vero. Il tanto celebrato accordo di principio con lo Stato italiano, quello che dovrebbe spianare la strada alla Svizzera verso un futuro radioso e senza il quale siamo praticamente spacciati e destinati a decenni di fame e miseria, contiene una clausola ghigliottina. È stata imposta dagli italiani e, ci mancherebbe altro, accettata dai negoziatori svizzeri, perennemente più lealisti del re. La chicca, su cui è stato steso un pietoso e incomprensibile velo di silenzio, è di quelle che tolgono il fiato: se verranno applicati i contingenti contemplati dall’iniziativa UDC contro l’immigrazione di massa, tutto ciò che esperti, politici e diplomatici hanno faticosamente raggiunto dopo anni di duro lavoro e indefesso impegno, cadrà miseramente come un castello di carte. Si tornerà ad applicare quanto stabilito nel lontano 1974. Lasciamo un attimo da parte la bontà o meno dell’accordo di cui si è ampiamente, e pure a sproposito, discusso in questi giorni. Il punto infatti, è un altro. Perché quanto accaduto è di una gravità inaudita. Spiace peraltro costatare che quasi nessuno abbia colto l’enormità dell’affronto a un Paese indipendente e sovrano, nel quale i cittadini hanno democraticamente espresso un voto a favore di un’iniziativa che nessuno Stato straniero può arrogarsi il diritto di mettere in discussione. A qualcuno forse sfugge che ci troviamo di fronte a una questione di sovranità e dignità nazionale. Di rispetto nei confronti della volontà

di cittadini che hanno esercitato una conquista della civiltà - il voto - e, nello stesso tempo, hanno adempiuto a un dovere civico. Come politici navigati, esperti che dovrebbero essere stati formati per fare gli interessi nazionali e diplomatici che, un tempo, il mondo intero ci invidiava, possano essersi fatti imporre una clausola simile, rimane un mistero che sfida l’umana comprensione. E pone domande molto serie, su cui l’UDC chiede che si discuta pacatamente, ma in modo risoluto. Non si tratta di domande retoriche e sono necessarie risposte precise e puntuali per capire dove è intenzionato ad andare il nostro Paese, e che futuro ha la democrazia diretta. Ad ogni modo, sarà bene essere chiari sin da subito, onde evitare di perdere altro tempo. O si decide di passare un colpo di spugna sull’esito scaturito dalle urne il 9 febbraio dell’anno scorso, o mettiamoci pure l’animo in pace e studiamo sin d’ora un piano B. Perché l’accordo è destinato al fallimento. Lo si stracci pure. Non come affronto, ma perché è incompatibile con le leggi elvetiche. Non ha validità. È illegale. Che il Presidente del governo cantonale, Manuele Bertoli, dichiari poi che “non ci sono alternative”, lasciando che la sua personalissima visione del mondo intacchi e infici la volontà di quegli stessi cittadini che dovrebbe rappresentare, è sconcertante. Non dovrebbe essere il momento di far prevalere ripicche di matrice partitica, ma di far quadrato per mettere in discussione scelte sbagliate. In fondo, il punto centrale è uno solo: un Paese sovrano non può accettare ricatti. Almeno su questo, non sarebbe male essere tutti d’accordo.

Marco Chiesa, Deputato UDC

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