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L'OSPITELa crisi del modello di sviluppo targato PLR

29.12.14 - 15:30
Raoul Ghisletta, presidente PS Lugano
tipress
La crisi del modello di sviluppo targato PLR
Raoul Ghisletta, presidente PS Lugano

Le idee politico-economiche del Partito liberale radicale (e fiancheggiatori di altri partiti) per decenni hanno determinato il rapido sviluppo economico del Cantone: piani regolatori che permettono di costruire di tutto e di più; leggi che permettono insediamenti di aziende di ogni tipo, anche grazie a incentivi fiscali e riduzioni delle imposte oltre ogni buon senso; realizzazioni di strade per favorire il presunto diritto alla mobilità individuale dell’automobilista; libera circolazione (con pochissime regole) di capitali (spesso abbinati ad evasione fiscale), merci, frontalieri e lavoratori stranieri per alimentare questo sviluppo economico. Oggi vediamo tutti, tranne forse i liberali, che questo modello di sviluppo facile si scontra con grossi limiti e che è fondamentalmente insostenibile a medio termine.

Ci sono innanzi tutto i limiti fisici del nostro martoriato territorio, che una parte crescente della popolazione ticinese vorrebbe preservare per quanto rimane di bello. L’iniziativa popolare per salvare gli spazi verdi, promossa dai Cittadini del territorio, e quella della STAN per proteggere i beni culturali hanno raccolto una montagna di firme nelle scorse settimane. Forse finalmente nella prossima legislatura dovranno cominciare a ricredersi quei deputati borghesi, che in nome della cosiddetta libertà economica hanno tenuto ferme nei cassetti ed annacquato molte proposte per rafforzare le norme pianificatorie, per ridurre il traffico e per proteggere i nostri beni ambientali e culturali. Ma la frittata non è certo finita: vedasi ad esempio la Commissione regionale dei trasporti del Luganese, che prevede un megalomane Programma di agglomerato del Luganese 2 (PAL2) dal costo di 1,4 miliardi di franchi (di cui 0,7 miliardi per investimenti stradali), senza migliorare di una virgola il rapporto tra le persone che per spostarsi utilizzano i mezzi pubblici (una su dieci) e quelle che vanno in auto (nove su dieci). Sono soldi veramente mal spesi.

Questo modello di sviluppo facile, oltre ad abbruttire il territorio, non assicura il pieno impiego e non evita il declassamento sociale. I frontalieri, chiamati qui da datori di lavoro liberisti sempre più scollegati con i bisogni del territorio, hanno raggiunto le 60’000 unità, mentre la disoccupazione ufficiale e nascosta è stimabile in 10'000 persone residenti in Ticino. Le cifre dell’assistenza crescono. Molti lavoratori e molte famiglie temono di perdere il loro posto di lavoro remunerato secondo i livelli retributivi elvetici sudalpini. Molti giovani qualificati, anche apprendisti e non solo laureati, per trovare un lavoro pagato decentemente devono emigrare nella Svizzera interna. Di fronte all’evidente reticenza delle autorità svizzere nel rafforzare le misure di accompagnamento per proteggere i salari e i posti di lavoro, alla popolazione ticinese non rimane che esprimere grida di paura ed appoggiare il ritorno al passato, ossia i contingenti, come si è visto lo scorso 9 febbraio: con i rischi che ciò comporta in termini di (dis)inserimento della Svizzera nel sistema europeo economico, scientifico e culturale (vedremo tra 2 anni dove ci porterà questo ritorno al passato).

Concludo affermando che è preoccupante pensare che il partito liberale voglia e possa rioccupare due seggi in Governo: per fare cosa? Per continuare con questo modello di sviluppo fallimentare ben incarnato dal suo candidato di punta e sindaco di S. Antonino (un Comune caratterizzato da ditte che offrono salari bassi, da centri commerciali scollegati dai trasporti pubblici e da occupazione irrazionale degli spazi verdi)? Occorre un’alternativa a questo modello di sviluppo e non ripetere sempre gli stessi errori guardando ad un passato che non ritornerà più. Occorre cambiare rotta.

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