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L'OSPITEAssistenza pubblica, quo vadis?

11.11.14 - 06:00
Antonio Perugini - www.sensocivico.ch
Assistenza pubblica, quo vadis?
Antonio Perugini - www.sensocivico.ch

La crisi economica che da anni si registra a livello mondiale, ha messo sotto pressione le finanze pubbliche degli Stati, anche di quelli più solidi economicamente. Pur se in termini meno acuti ed incisivi, anche in Svizzera l’onda d’urto si è fatta sentire, soprattutto a livello dei Cantoni che devono registrare preventivi e consuntivi rosseggianti. In questo contesto di travagliata ricerca di risanamenti finanziari, di acrobazie contabili e di ricettari risanatori, nei mesi scorsi è scoppiato l’allarme per l’esplosione delle spese per l’assistenza pubblica. Il botto iniziale l’ha innescato il piccolo comune zurighese di Hagenbuch, confrontato addirittura con la necessità di aumentare il moltiplicatore d’imposta per far fronte alle spese di una sola famiglia straniera di sette persone per l’ammontare di circa CHF 60'000.- al mese e al quale il Tribunale distrettuale, in risposta al ricorso presentato, ha in sostanza detto: paga e sta’ zitto! La miccia ha fatto il giro della Svizzera e diversi altri Comuni hanno condiviso l’allarme e fornito esempi, anche in Ticino. Non stupisce che, in tempi di magra, i provvedimenti di risparmio vadano spesso a parare sul contenimento delle prestazioni erogate ai più deboli ed indifesi della società. La polemica che si è innescata (talvolta più di pancia che di testa) induce tuttavia a qualche ponderata riflessione. Premesso che la garanzia del minimo vitale per colui che è nel bisogno e non è in grado di provvedere a se stesso è un precetto costituzionale federale (art. 12 Cost. fed.), scavando fra le pieghe del sensazionalismo mediatico suscitato dalle notizie allarmistiche, si scopre ad esempio che:

In quel Comune zurighese i provvedimenti di sostegno sociale erano stati appaltati ad una società privata (outsourcing) che aveva predisposto quanto di meglio c’era a disposizione per quella famiglia, come ad esempio il collocamento in istituto privato per i figli pari a CHF 36’000.- mensili, un gruppo di sostegno socio-pedagogico e di accompagnamento costante per la famiglia pari ad altri CHF 20'000 mensili, più vitto e alloggio per complessivi CHF 4.100, ed altre spese tutte ovviamente a carico di quella piccola collettività (mille abitanti).

Nel rapporto di consuntivo 2013 della Città di Bellinzona si legge l’allarme per l’aumento massiccio di giovani in assistenza perché buttati fuori di casa per problemi relazionali coi genitori, interruzione di studi o difficoltà a trovare un impiego. In Ticino i beneficiari di assistenza sono circa 6'000, il 32% dei quali sono giovani al di sotto dei 26 anni (dati ufficiali TI aggiornati al giugno del 2013).

C’è di che riflettere e preoccuparsi, non solo sul piano finanziario ma anche su quello del futuro mantenimento e praticabilità del diritto all’aiuto in caso di necessità. Certamente la crisi economica, la riforma di talune assicurazione sociali (invalidità e disoccupazione) e la precarietà socio-famigliare, hanno contribuito a far travasare nell’assistenza un numero maggiore di casi. Ciò che però mi pare emergere soprattutto dai casi e dalle cifre sopra esposte, è un deficit crescente di responsabilità individuale ed istituzionale che provoca inevitabilmente le deprecabili derive da outsourcing:

Nel caso di Zurigo, per via della follia spendereccia che grida vendetta al cielo trasformando l’aiuto di necessità in un business di lusso a carico della collettività (qual è quella famiglia, anche agiata, che potrebbe permettersi quel genere di costose prestazioni?). Nel caso di Bellinzona, a causa dell’autodestituzione dalle proprie responsabilità genitoriali nell’accudimento e mantenimento della prole, esternalizzando a carico della collettività ciò che per legge incombe ai genitori (ovviamente quando in grado di poterselo assumere!). Sui dati statistici ticinesi, il preoccupante aumento della fascia giovanile in assistenza a causa di problemi famigliari od occupazionali.

Urge quindi un pronto riesame delle premesse e delle condizioni con cui provvedere all’assistenza pubblica, al fine di evitare che il moltiplicarsi delle situazioni estreme ed urtanti per il buon senso, possano nuocere al principio stesso del dovere costituzionale di aiuto, trasformando da un lato il “bisognoso” in “facoltoso”, e dall’altro una fetta crescente di gioventù, da assistiti temporanei in casi sociali permanenti. Altrimenti termini come responsabilità, solidarietà, socialità e sussidiarietà, anziché garanzie costituzionali, diverranno sempre più terreno di scontro ideologico/politico e di diffusa indignazione pubblica. A scapito della serena convivenza sociale e, non da ultimo, della democrazia.

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