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CANTONEGiuseppe Paternò alle nomination per Openstack

11.01.16 - 06:00
Ticinese in giro per il mondo, il consulente informatico è nella rosa ristretta scelta dalla community per entrare del board della fondazione del più importante progetto dopo Linux
Giuseppe Paternò alle nomination per Openstack

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Ticinese in giro per il mondo, il consulente informatico è nella rosa ristretta scelta dalla community per entrare del board della fondazione del più importante progetto dopo Linux

LUGANO - Da domani al 18 gennaio si terranno le votazioni per il nuovo consiglio di amministrazione che reggerà le sorti di OpenStack, il cloud computing open source nato nel 2010, il più importante progetto informatico al mondo dopo Linux. Tra i candidati che sono stati scelti nella prima fase c’è anche Giuseppe Paternò. Nonni siciliani, scuole a Milano e Londra, Paternò risiede in Ticino e si divide tra qui, Zurigo e Regno Unito, ed è un perfetto esempio della prima generazione informatica, quella cresciuta sui Commodore e il DOS negli anni Ottanta in giovanissima età. Oggi è uno dei consulenti IT più considerati a livello globale, invitato in tutta Europa. Ecco perché la sua candidatura può essere un valore aggiunto in un passaggio storico, quello del cambio di passo verso la fondazione.

OpenStack è cresciuto in modo incredibile in questi anni: qual è il segreto di questo software rivoluzionario?

OpenStack fa parte dei “software defined IT”, che non è soltanto una tecnologia, ma un vero e proprio abilitatore. Si parla di come il software sostituisce l’hardware. Faccio spesso questo paragone immediato: è come Amazon Web Services, ma a casa del cliente o del service provider. Risponde rapidamente alle esigenze aziendali, si risparmia sui costi di licenza e l'ottimizzazione del budget.

Le preoccupazioni principali dei CIO…

Precisamente. OpenStack nello specifico porta benefici nel disaster recovery automatico, nella reazione del software alle esigenze di carico. La flessibilità, in particolare su storage e rete, libera dal vecchio obbligo di pianificare in largo anticipo una maggiore capacità. Serve più storage? Compri server con molti dischi e li aggiungi nel cluster. Puoi facilmente stanziare nuovi load balancer dal pannello di OpenStack senza dover comprare costosi hardware o aspettare che arrivi l’hardware e venga installato e configurato.

La capacità di monitorare e gestire facilmente un Data Center con un approccio unificato e convergente è sempre stato l’obiettivo primario del progetto OpenStack: è stato raggiunto?

Lavoro su OpenStack dal 2011 e mai come nel 2015 c’è stato tanto interesse e tante richieste di chiarimenti. Tuttavia l’adozione è ancora lenta e molti sono ancora nella fase di prova o test interno. I service provider e gli outsourcer hanno capito per primi la bontà nell’adozione di OpenStack, in quanto dà ai loro clienti una piattaforma standard per interagirvi e sulla quale gli integrator possono sviluppare indipendentemente. Per quanto riguarda l’agilità di business, è una esigenza che di solito emerge nei miei colloqui con CEO e CIO, dove a volte faccio un po’ da psicologo scavando all’interno dell’azienda per capire quali sono i problemi e le necessità reali. Sicuramente OpenStack ha dei vantaggi, anche se non sempre sono evidenti.

Il lato business di OpenStack è di grande attrattiva: come lo spieghi da consulente?

Spesso i clienti mi convocano perché il loro obiettivo è diminuire i costi di licenza, trovare una forma di storage più conveniente rispetto a quelli più tradizionali, soprattutto in un mondo in cui i dati si moltiplicano a dismisura e l’archiviazione, anche per ragioni legali o di backup, diventa un problema quasi più grande dei dati aziendali effettivamente gestiti. Spesso la mia funzione in queste aziende è aiutare a ridefinire i processi aziendali in maniera più agile per rispondere alle crescenti necessità di un time-to-market sempre più veloce. Quando però il risparmio è il fattore trainante, bisogna capire se effettivamente OpenStack è la soluzione al loro problema, perché potrebbe bastare una virtualizzazione alternativa o l’uso di un software defined storage per aiutarli.

Quando è sicuramente il caso di passare a OpenStack?

Ci sono numeri che non ammettono interpretazioni. Un mio cliente bancario in Inghilterra per esempio impiega 120 giorni per mettere a terra una singola virtual machine. In Italia le aziende spendono mediamente 60-80 giorni. Il motivo è presto detto: i processi interni sono così ingessati che per ogni operazione ci vuole un ticket e spesso per ogni operazione ci sono i classici 3-5 giorni per l’accordo sui livelli di servizio (sla). La creazione della virtual machine, l’installazione di sistemi operativi, la configurazione delle reti, compliance, sicurezza, l’installazione dell’applicativo e del relativo database richiedono almeno 3 giorni di lavoro. Con le ulteriori complessità generate nelle grandi aziende, coi loro tempi e dinamiche.

Si può dire che il più è superare la resistenza dei processi decisionali?

Molto spesso il marketing o i clienti interni vengono bloccati da questi processi, portandoli ad acquistare macchine su Amazon o altri provider. Questo aumenta potenzialmente i costi sul lungo termine senza avere una garanzia di conformità e senza avere la possibilità di adottare la stessa sicurezza interna. Con OpenStack possono avere la stessa flessibilità, ma localmente e in tutta sicurezza. Io spiego e illustro questo. E aiuto a metterlo in atto.

I vendor parlano spesso di adozione massiva di OpenStack. Da un punto di vista più neutrale come il tuo, cosa accadrà?

Ora anche gli altri clienti stanno iniziando a capire che una standardizzazione dell’infrastruttura porta numerosi vantaggi, aperture verso il futuro e un incisivo snellimento dei processi interni. Anche se tutti i clienti percepiscono il valore di OpenStack, molte volte sono spaventati nel dover fare un salto nel buio verso una piattaforma più giovane, che necessita di competenze molto elevate. Sul primo aspetto, aiuto e consiglio il cliente nella scelta della distribuzione OpenStack più adatta a lui con il supporto del vendor, qualora il cliente lo desideri, mentre sul secondo aspetto io e il mio team supportiamo nell’architettura e nella realizzazione, affiancandogli un partner locale per l’operatività quotidiana. Spesso l’accoppiata  del vendor e del mio nome dà serenità e serietà nell’affrontare progetti così strategici.

Come vedi il cloud ibrido? Quali altre tecnologie ci possono aiutare?

Il futuro non è solo ibrido, ma direi multi-cloud. Non solo avremo cloud privato e cloud pubblico, ma un giorno potremo decidere di mettere i nostri workload dove più ci conviene o in base al territorio. Un mio cliente Italiano possiede una zona di produzione interna su VMWare dove ha i workload tradizionali Oracle e SAP, una OpenStack interna dove fa test, sviluppo e produzione web, una parte su Azure dove ha i siti pubblici istituzionali in cui serve banda e infine una parte su un service provider italiano OpenStack dove viene parcheggiato il disaster recovery, perché i dati dei clienti devono risiedere per legge su territorio italiano.

Se non bastasse tutto quanto detto, c’è la territorialità dei dati.

È molto importante che i clienti svizzeri abbiano i propri dati e i propri sistemi su territorio svizzero. Se tutti adottassimo OpenStack nella giusta maniera, clienti e service provider, possiamo avere facilmente un disaster recovery o business continuity a bassissimi costi.

Sei tra i papabili al consiglio di amministrazione di OpenStack. Come nasce la tua candidatura?

Essere nella short list mi onora molto. Va detto che mi confronterò nelle votazioni con mostri sacri dell’IT quali Tim Bell, il direttore IT del CERN. Mi sono candidato alle nomination un po' per sfida lanciatami sia dai clienti che dagli amici che lavorano nell'engineering di OpenStack. Andando avanti mi sono reso conto che la mia candidatura aveva un senso, soprattutto considerando che la lista dei candidati, sia indipendenti che nominati dai gold/platinum member, è composta perlopiù da big vendor. Anche se fanno un ottimo lavoro, i vendor comunque tendono ad imporre nuove feature all’interno di OpenStack per aumentare il potenziale parco clienti, invece di pensare ai problemi del quotidiano, insomma a chi OpenStack deve installarlo, gestirlo e integrarlo.

Il tuo programma elettorale è perciò legato alla tua dimensione di consulente e integratore: cosa intendi fare se eletto?

Quello che vorrei portare nel board è la rappresentanza dei service provider regionali, degli outsourcer, delle aziende e dei system integrator. Vorrei una fondazione più focalizzata sulle esigenze del mercato e meno sbilanciata verso coloro che devono vendere a tutti i costi per rispondere alle esigenze delle borse o investitori. Vorrei in OpenStack la stessa evoluzione di Linux, cercando di evitare alcuni errori, ma soprattutto ricalcandone i pregi. 

Il primo di questi pregi?

Stabilità. Linux è il frutto di anni di evoluzione per raggiungere una stabilità del cuore dei pacchetti. Vorrei vedere lo stesso percorso evolutivo, magari in meno tempo, con un core stabile, efficiente e compatto. Vorrei un concetto di “stable release” così come succede in Ubuntu LTS, o Fedora vs. RHEL/CentOS. Le release di OpenStack cominciano ad essere troppe, i clienti non possono aggiornare una infrastruttura così critica ogni sei mesi. Attualmente passare da una release ad una non immediatamente successiva è un bel grattacapo e i system integrator hanno i loro bei grattacapi. Le aziende vogliono stabilità a lungo termine, specialmente sulle componenti principali.

Sei un ticinese di mondo, sempre in giro per il tuo lavoro. Cosa porti con te del cantone quando sei in viaggio?

Il ricordo del lago di Lugano visto da Maroggia in una bella giornata di sole, con il ponte diga. Le valli ticinesi viste dal “mio” aereo (Giuseppe e’ anche un pilota in Avilù, ndr). La cordialità delle persone che incontri al mercato. Queste sono le immagini impresse nel cuore anche se sono a 10.000 km di distanza.

Il sito internet di Giuseppe Paternò è www.gpaterno.com e l’account twitter @gpaterno


Questo articolo è stato realizzato da ated - Associazione Ticinese Evoluzione Digitale, non fa parte del contenuto redazionale.