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INTERVISTAMax Pezzali: "Per me la moto è un antidepressivo naturale"

24.03.14 - 09:36
È un grande amante delle Harley, che considera un aggregante sociale, e rimpiange le competizioni del passato con Lucchinelli e Giacomo Agostini. Ecco il Max Pezzali motociclistico
Max Pezzali
Max Pezzali: "Per me la moto è un antidepressivo naturale"
È un grande amante delle Harley, che considera un aggregante sociale, e rimpiange le competizioni del passato con Lucchinelli e Giacomo Agostini. Ecco il Max Pezzali motociclistico

LUGANO - Nelle sue canzoni si incontrano più di una volta i riferimenti alle motociclette, ai viaggi su strada, alle due ruote. Si pensi per esempio alla celebre “Basta un giorno così”, in cui già nell’attacco della canzone si sente una rombante Harley, in cui il testo inizia con “Scorre piano piano la Statale 526” e prosegue narrando dei luoghi in cui il cinquantino lo portava via dai guai, di quanto sia bello il saluto tra i motociclisti e quanto una giornata in moto riesca  a “cancellare centoventi giorni stronzi”. Così, quando Max è passato dalla nostra redazione, non abbiamo perso l’occasione per chiedergli se dietro a questi riferimenti vi fosse una vera e propria passione.

“Assolutamente, anzi: è un passione che in un certo senso è diventata anche una sorta di secondo lavoro. A Pavia, nella mia città, ho infatti aperto un concessionario di Harley-Davidson e appena posso mi diverto ad andare a vedere in officina il lavoro manuale dei meccanici, anche se questi giustamente ogni tanto mi dicono: “ma levarsi dai piedi mai?” Scherzi a parte la motocicletta per me rappresenta una gran parte della mia vita. Mi aiuta a concentrarmi e a rilassarmi, un vero e proprio antidepressivo naturale che mi aiuta a ritrovare la concentrazione e a recuperare le energie, cosa che per esempio non avviene quando mi sposto in auto, con i mezzi pubblici o in altri modi. In moto devo fare solo quello e, di conseguenza, riesco a liberare i pensieri.”

 

Ma tra tutte le tipologie di moto, come mai proprio le Harley?

“Da ragazzino mi sono innamorato della Harley perché vivevo del mito americano, con questi riferimenti cinematografici in cui si vedevano queste moto un po’ da fuorilegge, del cowboy e del cavaliere moderno che affronta la strada. Al di la del fatto tecnico e del tipo di guida, che può piacere o non piacere, la cosa più bella del possedere queste moto è sicuramente il fattore umano perché con le Harley si conoscono un sacco di persone. Tra tutte le persone che frequento oggi, otto su dieci le ho conosciute proprio grazie alle Harley o a cose legate ad essa. Basta per esempio andare in un Bar, trovare uno che abbia la stessa moto e già si inizia a discutere; c’è poi la possibilità che ci si riveda e che poi diventi addirittura un amico. Una cosa che con altre moto è più difficile che accade, specie con quelle in cui spesso e volentieri ci si misura sulle prestazioni e sulla velocità.”

 

Ma a proposito di velocità, hai mai vissuto l’altro aspetto della moto, ovvero quello legato al circuito?

“A dire la verità sono abbastanza negato per il circuito. Un po’ di tempo fa v’era in Italia un campionato monomarca legato alla XR 1200 e avevamo un piccola squadra per divertirci, ma ad un livello davvero amatoriale. Tuttavia le competizioni mi sono sempre piaciute e seguo la MotoGP, anche se al giorno d’oggi le competizioni a quei livelli mi sembrano un po’ artefatte: si sta diventando troppo politicamente corretti, con campioncini-robot che non possono più dire una sola parola fuoriposto. Rimpiango un po’ i tempo epici con i vari Lucchinelli, Randy Mamola, Kenny Roberts, Giacomo Agostini o Joey Dunlop dell’Isola di Man. Valentino Rossi per me è stato l’ultimo umano che era anche simpatico. Gli spagnoli di adesso invece sono sicuramente grandissimi campioni ma non mi emozionano.”

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