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RALLYDilettanti allo sbaraglio

15.08.16 - 12:00
A poco più di un mese di distanza dal Rally del Ticino, abbiamo deciso di raccontarvi le emozioni della nostra “prima volta”. Prima, ma sicuramente non ultima.
Dilettanti allo sbaraglio
A poco più di un mese di distanza dal Rally del Ticino, abbiamo deciso di raccontarvi le emozioni della nostra “prima volta”. Prima, ma sicuramente non ultima.

È come se all’improvviso, nel giro di pochi istanti, tutto il lavoro svolto nei mesi precedenti fosse come svanito nel nulla. Una linea sottile che da tutta la minuziosa preparazione ti catapulta nel giro di un attimo su per la Val Colla affrontando quel “destra tre sconnesso” e quel “sinistra cinque tieni” che prima conoscevi solo in teoria, che avevi visto solo su carta e nelle ricognizioni, e che ora invece ti trovi a percorrere ben immobilizzato nel sedile dalle cinture a cinque punti e tenendo in mano il volante di un’auto da rally. Poi, circa cinque minuti e mezzo dopo, ti rendi conto che il lavoro svolto nei mesi precedenti non è svanito nulla, non si è volatilizzato, ma si è soltanto concretizzato. Che ha insomma preso forma il desiderio che volevi realizzare da tutta una vita.

A volte mi sembra di essere ripetitivo, ma anche in questo caso il fattore scatenante che mi ha fatto dire “adesso faccio un rally” è stata ancora una volta la Toyota GT 86. Nell’autunno dello scorso anno TMG (Toyota Motorsport) è finalmente riuscita ad omologare la sportivetta di casa per la categoria R3. Dal momento che sono allergico alle trazioni anteriori, che le integrali sono piuttosto dispendiose e che le storiche hanno una franchigia per la quale dovresti ipotecare gli organi di tutti i parenti, mi è come sembrato che gli astri fossero favorevoli per passare da spettatore a concorrente. Ma non è stato così: per tutta una serie di motivi che non sto qua ad elencare, alla fine niente GT 86. È solo che una volta annusato il profumo di un rally non sono più riuscito a fare dietro-front. E quindi dopo un’estenuante ricerca della vettura “giusta” (questa è la deformazione professionale di chi guida oltre un centinaio di auto diverse all’anno) ho optato per una Mitsubishi Lancer Evolution IX, Gruppo N, della comasca GMA Racing. Tralasciando poi tutto il tempo speso nel frattempo per le trattative con gli indispensabili sponsor, l’organizzazione degli eventi collegati ad essi, le questioni burocratiche. Tanto di quel lavoro collaterale, insomma, che di tempo per pensare alla gara vera e propria ce n’era poco.

Poi tutto a un tratto ecco che nel calendario la fatidica data si avvicina sempre di più. La particolarità del nostro equipaggio è che entrambi, sia io che il mio navigatore Erik Canonica, non avevamo mai partecipato ad un rally. Dei veri e propri dilettanti allo sbaraglio uniti solo da una grande amicizia e da una passione comune. Ma tanto basta. Perché nonostante l’esperienza di guida non manchi, nonostante non sia stata la prima volta in cui ho poggiato le natiche sul sedile di un’auto da corsa, nonostante le diverse vittorie al Nürburgring compresa la 24 ore lo scorso anno, mi sentivo come un ragazzino al primo giorno d’apprendistato. Infinite le incognite e gli interrogativi, molte le cose di cui non sapevo nulla, tantissime quelle che volevo sapere. Anche ciò che non mi sarebbe dovuto riguardare, come i compiti di cui è solito occuparsi il navigatore. Ma la curiosità e la mania del controllo non conosco freni. Insomma: ti presenti il sabato mattina all’inizio della prima prova speciale tutt'altro che rassicurato e che ancora un po’ non sai come “funziona” la macchina. Solo 20 chilometri di test, peraltro su circuito, per verificare la messa a punto “teorica” che abbiamo applicato non sono certi sufficienti. E infatti per la prima metà della PS1, più che ad ascoltare il navigatore, ero impegnato ad “ascoltare” la macchina.

Io e la Lancer siamo però subito diventati buoni amici. Il vantaggio di guidare una Gruppo N alla quale puoi dare quasi subito del tu, complice anche una messa a punto che alla fine si è rivelata piuttosto azzeccata. Le prestazioni non sono granché ma il cambio ad innesti frontali è un vero piacere, si inserisce in curva come deve ed è ben sensibile al tiro-rilascio, oltre ad essere molto intuitiva e scorrevole sul veloce, sebbene sempre con un filo di sottosterzo di troppo nelle curve più lente. Massa e dimensioni si fanno invece sentire nello stretto, in cui l’impressione era quella di guidare una furgone da spedizioniere in un circuito per Go-Kart. Ma poco importa. Come affermato durante la cerimonia di partenza ci è spiaciuto essere gli unici a partire nel Gruppo N vedendo quindi cadere l’innato spirito competitivo, ma in fin dei conti è stata a maggior ragione una scusa in più per divertirsi e fare quello che al volante mi da maggiore soddisfazione: guidare, appena possibile, in perenne sovrasterzo. Isone da questo punto di vista regala grandi soddisfazioni. Prese le misure, le due PS che si snodano fin su all’Alpe del Tiglio sono state un divertimento unico per noi e uno spettacolo puro per il pubblico, che dagli incitamenti che potevamo scorgere attraverso il finestrino sembravano apprezzare tutte le nostre “leve”. E il caso vuole che proprio nell’ultima delle due prove di Isone, avendo trovato le mie condizioni climatiche ideali (asfalto bagnato, pioggia da leggera ad assente) siamo riusciti a centrare il nostro miglior risultato, piazzandoci ventiquattresimi assoluti.

Una prestazione che di fatto è stata possibile solo perché poi, prova dopo prova, mi sono pian piano abituato al fatto che vi fosse qualcuno seduto al mio fianco che mi ripeteva ad alta voce le note che io gli avevo dettato il giorno prima. Ammetto che non è stato facile, e gliel’ho anche confessato: ma su una strada normalmente aperta al traffico, in cui non vedi come finisce la curva o in cui non sai a quale velocità puoi affrontarla, non è sempre così facile agire su comando se per una vita intera sei stato abituato ad agire seguendo il tuo intuito. Poi però provi a fare quello che ti dice, a entrare tardi in quella curva, poi ad anticipare quell’altra e a tenere il pedale destro incollato al pavimento in quella doppia più avanti - e vedi che effettivamente funziona! Dopodiché, una volta trovata la giusta sintonia, vi sembra di essere quasi invincibili. Perché il bello sta proprio nel rapporto umano che si crea anche fuori dalla prova speciale, in cui uno cerca di calmare l’altro quando gli sale la carogna, quando ci si aiuta a vicenda a correggere eventuali errori, quando uno incita l’altro per caricarlo a tirare fuori il 200% della grinta che ha dentro di se. E poi, diciamoci la verità: i ricordi e le emozioni di una gara sono decisamente più belli quando li hai vissuti e puoi condividerli con un vero e proprio compagno di squadra. Proprio il giorno successivo al Rally avevo letto su una rivista del settore un’intervista ad un campione di casa nostra: Kim Daldini. Alla domanda “quanto è importante da 1 a 10 un buon navigatore” aveva risposto “11”. E aveva pienamente ragione.

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