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CANTONEOttomila chili di farina finalmente così "bóna"

27.03.17 - 07:02
Con lo Zincarlin e i Cicitt, è una delle tradizioni ticinesi che rischiavano di andare perdute per sempre. «Così l'ho salvata», ricorda il maestro che l'ha recuperata assieme ai suoi bambini
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Ottomila chili di farina finalmente così "bóna"
Con lo Zincarlin e i Cicitt, è una delle tradizioni ticinesi che rischiavano di andare perdute per sempre. «Così l'ho salvata», ricorda il maestro che l'ha recuperata assieme ai suoi bambini

CAVIGLIANO - Undici anni dopo, il riconoscimento di tanta fatica, impegno, ricerca. «Giunge un po' inaspettato, ma così gradito – dice Ilario Garbani – Lo prendo come una gratificazione per il lavoro svolto. Anche perché, all'inizio, non è che ci guadagni. E adesso... sì, qualcosina, non certo grandi cifre».

Dal "presidio Slow Food" alla "Chiocciola" - Non sono stati del resto i soldi a motivarlo e spingerlo quando, nel 2006, decise di provare a recuperare una tradizione e una memoria: la farina bóna, "presidio Slow Food" dal 2008 e ora vincitrice della Chiocciola 2017, destinata a chi si sia distinto nel «salvaguardare e divulgare prodotti e saperi legati al nostro territorio in maniera autentica, viva e gustosa», spiega Mario Ferrari, presidente Slow Food Ticino, che quest'anno festeggia i 30 di presenza sul territorio.

Da 500 chili a 8 tonnellate - Dopo i vitigni Bondola del Sopraceneri, premiati nel 2016, ecco dunque il mais tostato e macinato finissimo: pronto a essere consumato così, senza cottura ulteriore, mescolato a piacere al latte e allo yogurt, oppure come ingrediente di polente, minestre, torte, crepes e anche gelati. Quando si cominciò, al mulino di Loco se ne faceva a dir tanto mezza tonnellata l'anno. Oggi sono 8, grazie anche al restauro del mulino di Vergeletto. Si vende «per tre quinti» in sacchetti fino a un chilo di peso e per la parte restante lavorato in biscotti, birra, tagliolini, amaretti, liquori, creme spalmabili.

Scomparsa da vent'anni, assieme al suo segreto - Una tradizione della Valle Onsernone, andata perduta si credeva ormai irrimediabilmente e ripristinata assieme ai bambini delle elementari del posto cui Garbani, 58 anni oggi,  faceva da maestro per metà del tempo. «Dal 1991 provava a recuperarla il museo Onsernonese. Ma era scomparsa da almeno vent'anni, nessuno sapeva più qual era la tostatura giusta, la macinatura ideale. I risultati non convincevano i pochi anziani che l'avevano assaggiata fino al termine degli anni '50, nè quelli che non l'avevano mai provata. Si disse, a un certo punto, che forse era un gusto che poteva piacere solo in un'epoca in cui si aveva poco cibo e più fame. Ma io non ci ho mai creduto. Non mi sono rassegnato».

Il tabù del pop-corn - Ha coinvolto gli allievi, cercato nei libri, ascoltato i ricordi dei vecchi. «Finché ho intuito il segreto. In fondo non era così difficile. Bisognava superare il "tabù del pop-corn". Me lo diceva mia zia, "I chicchi di mais diventavano bianchi". E io mi domandavo "Ma come, che vorrà dire". Il fatto è che il mais da polenta, utilizzato per realizzare la farina bóna, è bianco quando scoppia e si trasforma in pop-corn. Nella tostatura, andava prevista anche questa componente. L'ho scoperto assieme ai bambini».

Nata assieme a un cappello di paglia - Assieme a tante altre cose: come, per esempio, che «è una tradizione antichissima, che risale fino al XV secolo, quando si tostava però la segale. All'epoca nella Valle si intrecciava la paglia per realizzare borse, sporte, cappelli, da vendere soprattutto in Piemonte ma anche in Ticino. A questo scopo si coltivava la segale, che si coglieva ancora immatura e dunque andava tostata per poter essere conservata e mangiata. Poi, fra Ottocento e Novecento, l'industria della paglia fallì. Si passò al mais, forse più buono, tanto da guadagnare alla farina l'aggettivo odierno».

Mischiatela allo yogurt - o gustatela nel gelato - Tanta curiosità, un po' di ostinazione e finalmente la farina bóna ha conquistato i palati - e gli scaffali. Piccoli rivenditori, ma anche Migros e Coop. «La grande distribuzione ha aiutato a incrementare i quantitativi. All'inizio era solo farina. Poi abbiamo pensato di rilanciarla assecondando gusti più moderni, sotto forma di pasta, dolci, alcolici. Compro il mais del Piano di Magadino, lo passo in un tostatore per il caffè invece che nella pentola di una volta. Se ce la faccio ancora, ora che è tanta roba? Ce la faccio. È importante: potrebbe diventare una maniera per rilanciare l'economia della Valle e creare anche posti di lavoro».

Dopo di lei, il mais rosso? - Per il momento, la farina bona si accontenta di essere uno dei 22 presidi in Svizzera, tre in Ticino, con cui Slow Food sostiene «le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire», assieme allo Zincarlin (formaggio a pasta cruda) della Valle di Muggio e i Cicitt (salsicce di capra) del Locarnese. È venuta per ultima, quasi dieci anni fa; ma potrebbe essere presto seguita dal «mais rosso - svela il presidente Ferrari - Ci stiamo ragionando». 

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COMMENTI
 

sedelin 7 anni fa su tio
congratualzioni per l'iniziativa! é ottima e quando la si mangia fa pensare alle rosse pannocchie di un tempo appese alle logge a seccare.

leopoldo 7 anni fa su tio
ma poi il ticinese ti volta le spalle e va in italia a comperarla, quella italiana naturalmente

elvetico 7 anni fa su tio
La farina bóna ? bóna davvero ! Complimenti signor Ilario, lei ha avuto un'idea fantastica :-)))

Tarok 7 anni fa su tio
bravo ilario
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