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INTERVISTADa padre dell’euro a scettico dell’euro: "Cercare di salvare stati, porta alla rovina"

08.02.13 - 08:51
L’ex membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea Jürgen Stark si esprime sulla gestione della crisi dell’Ue, la Banca nazionale svizzera e i peggiori errori della politica monetaria
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Da padre dell’euro a scettico dell’euro: "Cercare di salvare stati, porta alla rovina"
L’ex membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea Jürgen Stark si esprime sulla gestione della crisi dell’Ue, la Banca nazionale svizzera e i peggiori errori della politica monetaria

ZURIGO - Signor Stark, l’euro è fallito?
"No, ma il modello di valuta, così com’era stato previsto, non è mai stato attuato correttamente. In Europa, purtroppo, c’è una grande reticenza ad attenersi a principi e regole. Né la coordinazione di politica economica, né il patto di stabilità sono stati rispettati".

E di chi è la colpa?
"In realtà, il patto è stato rovesciato dalla Germania e dalla Francia. Ma anche altri stati membri, che hanno introdotto l’euro, hanno messo la retromarcia per un certo periodo continuando più o meno con la loro politica antecedente. Ma in nessun caso direi che l’euro è fallito. L’idea era buona, ma non è mai stata applicata".
 
Cos’è andato storto?
"Siamo partiti con troppi paesi nell’euro, ci siamo ampliati troppo in fretta e non abbiamo mai applicato le idee di Maastricht. Nella fase iniziale della gestione di crisi del 2010 l’idea è stata completamente abbandonata. Si può dire che è stata creata un unione monetaria che è esattamente all’opposto di quello che era stato previsto all’inizio degli anni Novanta".
 
È stato capo economista della Banca centrale europea (Bce). Nel 2012 ha lasciato la Bce e l’ha criticata per il suo comportamento nel confronto della crisi dell’euro. Cos’è successo?
"La Bce si è fatta assorbire molto dalla gestione della crisi a livello politico. La pressione da parte dei mercati finanziari, dalla politica ma anche dal mondo accademico era così forte che la Bce non è riuscita a concentrarsi unicamente sulla stabilità dei prezzi. Alla fine si è trattato soprattutto del fatto se la Bce salvava gli stati colpiti con programmi specifici. Ma proprio questo era vietato dal Trattato di Maastricht".

Secondo lei la Bce è andata oltre le sue competenze. Quali sono state le conseguenze?
"La Bce è diventata dipendente dalla politica. Se i livelli di competenza non sono più chiari, alla fine nessuna istituzione, nessun governo e nessuna banca centrale può essere resa responsabile di quello che va male".
 
Come mai si è arrivati a tanto?
"Con le decisione di salvare la Grecia, nonostante questo salvataggio era contrario alla cosiddetta clausola del no bail-out (clausola di non salvataggio, ndr), è stato mandato il segnale sbagliato. Ovvero che con i mezzi dei contribuenti sarebbe stato possibile effettuare altre azioni di salvataggio. Grecia aveva senza dubbio bisogno di un programma, non era più in grado di finanziarsi sul mercato. Ma un programma di questo tipo implicava una ristrutturazione del debito che doveva avvenire all’infuori dalla moneta comune".
 
Cioè, nel 2010, la Grecia sarebbe dovuta uscire dall’unione monetaria…
"...secondo il principio, niente sostegno per un paese che è in una situazione del genere per colpa sua".

Da quando il presidente della Bce Mario Draghi ha annunciato di eventualmente comperare le obbligazioni di stato dei paesi in crisi, i mercati si sono leggermente rialzati. Il miglioramento momentaneo dell’euro è un segno di fiducia nella politica della Bce?
"Il tasso di cambio non è così importante. Ci sono stati tre sviluppi nella fine del 2012 che hanno contribuito a calmare i mercati. L’entrata in vigore dello scudo euro, l’annuncio di un programma di acquisto delle obbligazioni di stato e il sistema di vigilanza delle banche. Anche i miglioramenti nelle riforme in Irlanda e in Portogallo hanno calmato i mercati".
 
Possiamo sperare?
"Non saprei, certo, i mercati si sono calmati. Ma in Italia e in Spagna è di nuovo aumentata l’insicurezza politica. Il rischio di ricaduta è enorme. Attualmente vediamo un po’ di tranquillità nei mercati, ma la crisi non è ancora superata".

Quando e in che forma si aspetta delle ricadute?
"La politica ha l’impressione che la Bce caverà le castagne dal fuoco se ricomincia a bruciare. Se in Spagna e in Italia aumenta di nuovo l’insicurezza, anche gli spread diventeranno più importanti. Il mercato testerà la Bce prima di quanto vorremmo. La calma dei mercati è una conclusione affrettata. E la situazione in Grecia non è ancora sotto controllo".
 
Secondo lei, il tasso di cambio non è importante. Perché la Banca nazionale svizzera ha investito miliardi per difendere un tasso minimo?
"So che per la Svizzera il tasso di cambio è un tema importante. Conosco le lamentele del settore dell’esportazione svizzera, è importante per la concorrenza. Ma in passato, anche gli esportatori tedeschi hanno dovuto arrangiarsi con un marco sempre più forte. È stato come un infuso di produttività per l’economia tedesco".
 
Ma è possibile confrontare l’aumento del marco di allora con il franco forte di oggi?
"In Svizzera è diverso. Non la tendenza generale del tasso di cambio è decisivo, ma la velocità. Se avviene su un lasso di tempo lungo, l’industria può reagire. Se invece è confrontata con un aumento shock, è una cosa diversa e può essere un problema".

Dunque, l’economia svizzera aveva un grande problema.
"La domanda è: la situazione dei tassi di cambio non si sarebbe semplicemente calmata? Oppure l’introduzione di un tasso di cambio minimo ha focalizzato l’attenzione della Svizzera sui problemi? Fissare un cambio minimo può diventare un’operazione molto cara. La Banca nazionale svizzera ha raccolto critiche molto dure".
 
Le banche centrali negli USA, in Giappone e in Gran Bretagna continuano a coprire i mercati di soldi a basso prezzo. Siamo in una guerra delle valute?
"Vi sono diversi indicatori in questo senso. I paesi industrializzati buttano molto liquido a basso prezzo nei mercati. Questi soldi caldi arrivano nei paesi in via di sviluppo e fanno salire i tassi di cambio e mettono in pericolo la competitività".
 
Quali sono i problemi con cui l’economia globale sarà confrontata in futuro?
"Il problema dell’attuale politica monetaria e che si cerca di risolvere problemi strutturali con molta liquidità. Le conseguenze di questo modo di procedere non sono prevedibili. Per molti anni, avremmo tassi molto bassi, quasi vicini allo zero. E saremmo confrontati con la quantità di liquidità anche in futuro. Per questo, aumenta il rischio di inflazione".

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