Secondo Avenir Suisse, saranno solo un'opportunità, a patto di rinunciare a 45 ore settimanali massimo, orario fisso e domeniche sacre
LUGANO - Arriva il momento in cui non resta che arrendersi all'evidenza. Perché la digitalizzazione è qui e rinnegarla, a un certo punto, serve solo a farsi del male. Così si prova a leggere la realtà da un altro punto di vista. Quello di Avenir Suisse è senza dubbio contro tendenza. Mentre il resto del mondo, dai sindacati al Wef, dice che i robot porteranno via posti di lavoro, l'associazione invece giura: sarà un'opportunità, ci farà del bene.
Al bando «i tentativi politici di imbrigliare i modelli aziendali digitali», che «si ripetono ad intervalli regolari» e «rappresentano il maggior pericolo per l’economia del Paese». Benvenuti tempi dove l'occupazione è flessibile, la gente disponibile, il confine tra vita privata e professionale sfumato. E le macchine diventano «la miglior premessa per incrementare la produttività e il reddito e creare nuovi posti di lavoro: la Svizzera deve aprirsi alla digitalizzazione, non fuggirla», invitano Marco Salvi e Tibère Adler, autori di uno studio su “La venuta dei robot”.
Un dato alla mano: se tra il 2006 e il 2016 è andato in fumo il 15% dei posti, «è anche vero che se ne sono creati 70mila di nuovi ogni anno». E in futuro, semmai, scompariranno gli impieghi, non il lavoro. Quelli intesi in senso tradizionale e ormai anacronistici, anzi «obsoleti, da prima rivoluzione industriale». Per vincere questo tipo di disoccupazione indotta, non c'è che stravolgere costumi e prospettiva. Via il tetto delle 45 ore settimanali, via l'orario fisso quotidiano e la sua durata massima, basta domeniche sacre. «Bisogna agire sui tempi del lavoro». E il lavoro atipico, così, diventa tipico.