Dai contractor ai gig worker, viaggio tra chi è "libero" di lavorare troppo
BERNA - Una volta erano quelli che non obbedivano a nessuno: lavoratori indipendenti, senza un capo né un padrone, fuorché se stessi. Ambizione, sogno, ancora forse una ventina d'anni fa o trenta. Poi, il tempo ha cambiato cose e aspirazioni. Alterato le opportunità.
L'inglese indora la pillola - Oggi fanno capolino due definizioni nuove; indorate dalla lingua inglese ribaltano costumi e aspettative. "Contractor", cioè colui che fornisce prestazioni a terzi e per tre quarti almeno a un mandante solo; vedi, per fare un esempio, i 23mila agenti contrattuali di Credit Suisse che si sommano ai 47mila impiegati interni. "Gig worker", che parimenti esercita un'attività indipendente ma con performance più occasionali e, spesso, brevi; bel nome che fa ormai da sinonimo a precario.
Quando il 2% è pure troppo - In una Svizzera che oggi vanta, o lamenta, la percentuale più alta d'Europa quanto a «persone occupate che possono stabilire il proprio orario di lavoro», 11,7% contro una media del 5,% secondo l'ultima indagine europea sulle condizioni di lavoro pubblicata ieri sul sito della Segreteria di Stato dell'economia, sono rispettivamente il 2,5% e il 2%. Pochi, e in un altro senso tanti oppure troppi, al confronto con quel che era solo dieci anni fa e con quello, soprattutto, che significa.
Il riposo non è mai certezza - La declinazione moderna del lavoro indipendente è dunque diventata una deriva, nell'accezione deteriore del vocabolo. Essere indipendenti vuol dire da sempre lavorare ore in più, ma le nuove sotto-categorie vanno oltre. Se un dipendente elvetico è operativo, in media, 41,9 ore a settimana e l'indipendente 47,2, ecco che il contractor arriva a 48,8, il gig worker a 49,2: e secondo cadenze e ritmi, per di più, sensibili a cambiamenti repentini, che dunque incidono negativamente sulla salute sotto forma di impossibilità di organizzare riposo e/o svago.
Addio week end per il 90% - Ad addentrarsi poi nei numeri, la situazione si fa più complessa, diversificata e problematica: e condanna il gig worker a uno stile di vita tutt'altro che auspicabile, sulla carta. Quasi il 90% lavora sei o addirittura sette giorni a settimana: una rinuncia al week end che coinvolge invece il 70% dei contractor, il 52% degli indipendenti generici e neanche il 10% dei salariati. Il 39% supera le dieci ore al giorno, almeno dieci volte al mese (28% dei contractor, 20% degli indipendenti e 5% dei salariati); il 56% lavora regolarmente nel tempo libero e in questo caso non c'è partita neanche con i contractor (11%).
Oltre 10 ore al giorno: come annoiarsi? - Una cosa è sicura: non conoscono monotonia (12%). Casomai, ritmi di lavoro elevati (85%) e prestazioni professionali complicate (95%). E, nonostante tutto, si dicono motivati (68%) quanto un salariato e poco meno di un agente contrattuale (81%). Un fenomeno, fuor di dubbio, professionale e sociale, alla quale la Supsi ha dedicato studi che mettono in luce come il confine con il lavoro gratuito sia sempre più labile.
Coesione sociale a rischio - «Sin dal 2000 le ricerche si sono focalizzate sul fenomeno della flessibilità e del lavoro neo-indipendente come effetti delle nuove organizzazioni aziendali - spiega il professor Christian Marrazzi - Gli studi hanno messo in rilievo la fragilià e la precarietà che contraddistinguono la società dei lavori fino a far emergere la frontiera del lavoro gratuito». Che, lancia di seguito l'allarme Spartaco Greppi, docente e ricercatore presso il Dipartimento di scienze aziendali e sociali, «contribuisce a sviluppare la cosiddetta economia dei lavoretti. Vengono così a mancare i prelievi di imposte e contributi sociali su cui si fondano il funzionamento dello Stato e la coesione sociale». Eccolo lì, dunque: il sogno è a un passo dal diventare incubo.