Ticino molto sopra la media svizzera: la denuncia di ImprendiTi contro gli abusi da parte dei «giovani ben qualificati» come delle aziende che «fanno quadrare i conti con i soldi pubblici»
LUGANO - Un dato: ogni anno, in Svizzera, la disoccupazione costa alle casse dello Stato 6,5 miliardi, «più della metà della galleria di base del Gottardo» Un altro dato: ogni anno, in Ticino, il disoccupato resta a casa fra i 50 e i 60 giorni in più rispetto a quella che è la media Svizzera. Nel 2015, 304 giorni invece di 248; nel 2011, 362 invece di 308. Un dubbio, infine: non è che qualcuno, forse, se ne approfitta?
Un curioso conflitto di interessi - A insinuarlo, oggi, e apertamente, è ImprendiTi, associazione che, al proprio interno e sotto forma di pourparler, da tempo lamentava un ricorso scorretto all'indennità. «Per questo abbiamo deciso di avviare una ricognizione», riflette Marco Silvio Jäggi, coordinatore dello studio, che offre un terzo dato: il 25% delle risorse messe a disposizione viene assorbito dagli enti che se ne occupano. «Questo ci dà da pensare. I soldi dovrebbero servire ad aiutare i disoccupati. Un quarto finisce invece nelle tasche di chi è pagato per aiutarli a rientrare nel mondo del lavoro, ma riceve finanziamenti sulla base del numero di casi che gestisce. Non c'è un conflitto di interessi?».
Poche sanzioni: «Siamo troppo "buoni"» - Sotto accusa, se di accusa si può parlare, oggi però non è la sovrastruttura che «dovrebbe mitigare i costi del sistema», ma i «giovani ben qualificati che lavorano quel tanto che basta a maturare il diritto al sussidio, prima di licenziarsi e cominciare a usufruirne». Con la complicità di «un sistema sanzionatorio buonista», che tollera comportamenti al limite della disonestà e li tratta con l'indulgenza che merita il disagio di non avere impiego. «Anche da questo punto di vista, siamo fra i peggiori della Svizzera. Non lo diciamo noi, ma la Seco: le sanzioni sono il mezzo con cui verificare l'efficienza del sistema. Il Ticino è nettamente sotto la media, quanto a sanzioni. Vuol dire che i nostri disoccupati sono più virtuosi? O forse non significa che applichiamo una prassi diversa?».
L'altra faccia della medaglia - Sbagliato, però, guardare solo al cosiddetto anello debole della catena. Ad approfittarsene, ammettono i portavoce di ImprendiTi, sono anche «alcuni imprenditori, che sanano i conti scaricando i costi sulle spalle del prossimo: concordando licenziamenti con il dipendente vicino alla pensione o allontanando dipendenti che vengono poi riassunti allo scadere del periodo sussidiabile».
L'appello a «cambiare la legge» - Che fare? «Da parte nostra, apriremo un osservatorio disoccupazione dove pubblicheremo notizie e faremo confronti magari poco lusinghieri al riguardo. Ma chiediamo alla politica di rivedere la legge federale, che attualmente non considera tali comportamenti una violazione. È per questo motivo non possiamo esibire numeri certi: ma il fenomeno c'è ed è riconosciuto. La percentuale è minima, direi non superiore al 5%, ma è comunque inquietante. Così facendo, i giovani creano buchi nel curriculum che prima o poi pagheranno. Viviamo in un mondo in cui si crede che basta la qualifica per accedere allo stupendio: ma non è così».