Oggi ultimo giorno: arrivederci al 23 gennaio. Del 2018. Un anno per mettere i pratica gli insegnamenti ricevuti: quali?
DAVOS - E adesso che è ancora una volta tutto finito? Ora che il Wef si chiude, dà l'arrivederci al 23 gennaio ma non prossimo: quello del 2018? Cosa resta di quattro giorni di dibattiti, ultimo oggi con scadenza alle 17.30: quando, venute da Kabul, le donne afgane della prima orchestra tutta al femminile saluteranno gli ospiti con le loro arie curiose?
Il razzismo e la cyber guerra, ore 9; la Syria e l'Iraq, 10.45; di nuovo la quarta rivoluzione industriale, mezzogiorno; il vice primo ministro turco un quarto d'ora più tardi; Henry Kissinger alle 16.30: e poi? Che cosa attende l'Europa, ci si è domandati ieri? Cosa attende il mondo?
Difficile indovinare la risposta giusta: non rimane dunque che guardarsi indietro, a quello che c'è stato per tirar le somme; a quello che si è detto, ai pregi e ai difetti di un vertice che si è segnalato fin da subito per le sue contraddizioni insolute. Come il presidente della Cina comunista che, in esordio, ha difeso il liberismo e una globalizzazione reputata da più parti oramai troppo vecchia, sferzando Trump e il suo protezionismo porta-guai. Come Christine Lagarde e/o il rapporto sui rischi globali del pianeta, che hanno invitato i potenti del mondo a lavorare, insieme, per l'uguaglianza economico-sociale: mentre là fuori si emblematizzava la polarizzazione dei redditi stigmatizzata.
Il "no" al terrorismo gridato da un palcoscenico blindato più che mai. Come gli effetti della digitalizzazione sul mondo del lavoro: che sono un'incoerenza di per sé, in questo sterile prospettarsi di scenari contrapposti. «Ascoltiamo il popolo, non i populisti», è il messaggio lasciato da questa edizione numero 47: che, fatta dai Grandi, i piccoli però li lascia fuori, e così si mette in discussione.